Addio commendatore è morto Pietro Scibilia

Nato a Gioia Tauro, scoprì l’Abruzzo grazie a una tormenta di neve Industriale del settore alimentare, per 18 anni alla guida del Pescara

di Marco Camplone

Era nato il primo maggio, festa dei lavoratori. Giorno tutt’altro che casuale perché il lavoro per lui era come una medaglia d’oro da appuntare sulla giacca buona, quella delle occasioni importanti. Pietro Scibilia se n’è andato ieri, alle 6.30 di una giornata livida e triste. Ha ceduto a un male incurabile e subdolo, silente fino a una manciata di giorni fa. Don Pietro era del ’29 e faceva parte di quella generazione costretta a crescere in fretta e a ingegnarsi per non essere divorata dalla miseria, triste eredità della Seconda guerra mondiale. Calabrese di Gioia Tauro, in Abruzzo arrivò per caso e ci mise le radici. Abile industriale, per anni fu il maggior produttore di sansa dell’intero bacino del Mediterraneo e creò la Gis Gelati. Cercò e trovò nello sport la legittimazione ai suoi successi nella vita. Per 18 anni tutt’altro che facili tenne in pugno le redini del Pescara calcio, prima ancora si era fatto conoscere come sponsor in varie discipline: ciclismo, pallanuoto, basket e calcio.

Lesse l’Abruzzo nel destino. Era in viaggio, con un carico di macchinari industriali da impiantare in Calabria, quando venne bloccato da una tormenta di neve sulla Statale, all’altezza di Giulianova. L’autostrada – siamo alle fine degli anni ’60 – c’era solo sulle carte dei progetti. Scibilia andò dal sindaco di Giulianova e chiese i terreni per creare un’industria olearia. Venne subito accontentato.

L’audacia non mancava a quel calabrese piccolo, magro e infaticabile. Da bambino, sfidando i soldati tedeschi, con la bicicletta trasportò il sale di contrabbando, guadagnando così i primi soldi. Appena uomo, emigrò in Argentina, a quel tempo una terra promessa, e fece fortuna con la compravendita delle auto e, poi, con gli immobili. A Rosario conobbe e sposò Carolina Gonzales, che ora lo piange insieme alle figlie Isolina e Sandra. Un’altra figlia, Titina, gli era stata portata via dal destino. Sandra ha sposato Antonio Oliveri, a lungo a fianco di Scibilia nel Pescara calcio come vice presidente, e gli ha dato tre nipoti: Teresa, Carolina e Matteo Giuseppe.

Scibilia piombò sul calcio pescarese alla fine degli anni ’80, con i biancazzurri in serie A. L’amore con la tifoseria più calda fu passionale e brevissimo. La sua figura, mal gestita, divenne antagonista di Giovanni Galeone, l’allenatore-idolo. Pescara fece soffrire Scibilia con un’interminabile contestazione e Scibilia fece soffrire i pescaresi con battute al vetriolo. Memorabile una sua stilettata dopo una sconfitta a Verona: “Eravamo sullo 0-0, poi nello stadio hanno fatto entrare i nostri tifosi...”.

Ma il Commendatore aveva tante qualità. Tra queste, la capacità di mantenere gli impegni assunti perché nessuno doveva neppure pensare di dargli del cattivo pagatore. Dopo il fallimento della vendita del club al traballante gruppo finanziario Ethafin, chiamò la banca e spostò un miliardo di lire sul conto della società: «Pago le tasse e iscrivo il Pescara al campionato». Qualche anno prima, sfidando l’ira della piazza, tutelò il direttore generale Pierpaolo Marino, incappato in cinque anni di squalifica proprio quando si trovava a fine contratto. Gli garantì lo stipendio per un lustro. Al promettente centravanti Fabio Bazzani, ingaggiato giovanissimo, diede la lista gratuita. «Ha bisogno di giocare vicino casa, il papà sta male». Aveva slanci di generosità, ma anche uno spiccato senso per gli affari e una ferrea determinazione. Non esitò, per salvare il Pescara da un’infausta retrocessione in serie C1, a far valere antiche conoscenze. L’opinione pubblica lo scoprì a margine di un processo per ’Ndrangheta, quando il pentito Marco Marino, tra le tante malefatte, raccontò di aver condizionato la partita Cosenza-Pescara, terminata 0-2. Scibilia, sornione, commentò: «So solo che il reato è prescritto».

Amore breve e passionale con i tifosi pescaresi, si diceva. Eppure, poco dopo essere andato via, in tantissimi cominciarono a rimpiangerlo perché capirono che, al contrario di tanti altri, i soldi in società li aveva messi davvero. L’avvento del diesse Andrea Iaconi, bravissimo nella compravendita dei calciatori, e la creazione di un florido vivaio affidato alla sapiente gestione di Cetteo Di Mascio, negli ultimi anni, gli permisero di rientrare di qualche miliardo, ma il valore tecnico della squadra ne risentì parecchio.

I giri conclusivi alla guida del Pescara furono segnati dai postumi di un ictus. Si riprese, ma non se la sentì di rilanciare la sfida sportiva, malgrado la collaborazione di gente fidata come Antonio Rollo. Nessuno potè biasimarlo. Neppure i suoi detrattori.

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