PESCARA

Alina, gli ultimi messaggi: non ho più forze di andare avanti da sola 

L’amica svela le confidenze della 40enne sulla relazione con l’uomo oggi accusato di averla uccisa: «Mi raccontava che Mirko faceva discorsi strani, diceva che la sua presenza era negativa, era il male»

PESCARA. «Appena puoi scrivimi, manca poco e mi troverai sotto casa tua. Non ho più forze di andare avanti da sola». È un messaggio che Alina Cozac, la donna romena di 40 anni che sarebbe stata strangolata dal convivente Mirko De Martinis, finito in carcere per omicidio volontario, scrisse alla sua migliore amica il 21 gennaio del 2023 alle 10 del mattino. Qualche ora prima di essere uccisa. E sempre lo stesso giorno, alle 18,18 Alina aggiungeva un secondo sms all’amica: «Ti devo parlare però adesso non posso, ti chiamo un po’ più tardi». «Purtroppo», dichiara la teste agli inquirenti, «non ci siamo sentite più».

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Le dichiarazioni dell’amica Cinzia, insieme a quelle delle due sorelle e dell’amico Enrico, sono servite al pm Anna Rita Mantini (nella foto in basso) per disegnare il movente di questo ennesimo femminicidio avvenuto il 22 gennaio del 2023.

Quella notte, quando il 118 chiamato da De Martinis decretò la morte della donna, quel decesso stava per essere classificato come morte naturale per un malore. Ma le risultanze di una complessa autopsia, corroborata da un collegio di tre esperti, ha cambiato il corso delle indagini, facendo finire sotto inchiesta il convivente per omicidio volontario, aggravato dal rapporto di convivenza.
«Poco prima dell’ultima estate Alina mi confidava», dichiara l'amica Cinzia, «che il rapporto con Mirko (foto in basso), con il quale aveva una storia da 16 anni, era cambiato a causa degli sbalzi d’umore di Mirko. In sostanza aveva dei comportamenti strani e iniziava a fare strani discorsi del tipo che la presenza di Alina in quella casa era negativa, paragonando Alina al male, tant’è che Alina si spaventava a sentire dette accuse e si allontanava di casa con il suo cane, rifugiandosi presso un amico della coppia, Enrico».

E il racconto prosegue con particolari anche inquietanti. «Durante la giornata Mirko l’attaccava verbalmente a volte offendendola, sminuendola come persona, creando uno stato di autostima in Alina molto basso, facendo riferimento alla sua incapacità di trovare un lavoro, inducendola a pensare che era un peso per lui che doveva mantenerla».
Non avevano più rapporti di coppia, «vivendo come due coinquilini che dividevano l'abitazione». L’amica prosegue riferendo agli inquirenti che «Alina aveva ormai maturato la decisione di diventare autonoma anche grazie alla psicoterapia cui si era sottoposta. Mi diceva che aveva deciso di andare via da Pescara e fu allora che le chiesi se era sicura di lasciare Mirko, e lei mi rispose con fermezza che voleva iniziare a vivere una nuova vita».

Ed è il movente di cui parla il pm Mantini, sottolineato dal gip nella misura cautelare: «Potrebbe ipotizzarsi che l’indagato», scrive il giudice Giovanni de Rensis, «messo di fronte alla ferma volontà della sua compagna di interrompere la relazione e di allontanarsi da casa (e forse colto di sorpresa da tale inconsueta determinazione), abbia reagito in maniera violenta e criminale, strangolando la vittima con il proprio avambraccio (probabilmente ponendo un cuscino tra quest’ultimo e il collo della Cozac)». E qui si inserisce il risultato dell’autopsia che diventa un macigno contro l’arrestato, finito in carcere otto mesi dopo la morte della compagna, ma solo perché la procura ha voluto avere fra le mani i risultati definitivi della complessa consulenza medico legale e di quella informatica sui cellulari e sui supporti informatici. E quest’ultima consulenza ha aggravato la posizione di Mirko circa il possibile inquinamento probatorio.

Questo perché l’esperto avrebbe accertato che l’uomo, subito dopo il decesso della donna, aveva manipolato il cellulare cancellando una serie di chat e altro materiale che poteva essere strumento di indagini. Non solo, ma aveva anche ripulito perfettamente tutta la casa. Una serie di attività ritenute fortemente sospette dagli inquirenti che avevano già ricevuto le prime immediate rivelazioni dal medico legale Ildo Polidoro, su quelle tracce sul collo che avrebbero determinato la causa della morte per asfissia meccanica.

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