Appalto Asl gonfiato, chiesti 5 rinvii a giudizio

D'Amario parte civile ma per la polizia è stato lui ad avvisare gli indagati dell'inchiesta

PESCARA. Cinque richieste di rinvio a giudizio per l'appalto gonfiato, da 2,3 fino a 7 milioni di euro, del polo materno infantile dell'ospedale. Il pm Gennaro Varone ha chiesto il processo per l'ex funzionario Asl Franco D'Intino, per l'imprenditore e il collaboratore Giacomo Piscitelli e per gli architetti Alfonso Colliva e Damiana Bugiani accusati, a vario titolo, di corruzione, truffa e falso. L'udienza preliminare si aprirà il 2 febbraio prossimo e la Asl di Pescara, secondo la procura parte offesa insieme alla Regione Abruzzo, si costituirà parte civile: a deciderlo è stato il direttore generale Claudio D'Amario che, il 30 dicembre scorso, ha affidato l'incarico della difesa all'avvocato Tommaso Marchese.

Ma dalle migliaia di carte dell'inchiesta, emerge che è stato «certamente» proprio D'Amario ad avvisare gli indagati dell'inchiesta della magistratura sull'appalto. In un rapporto alla procura del 23 febbraio 2010, l'ex capo della squadra mobile Nicola Zupo scrive: «Appariva sin troppo evidente che vi era stata una fuga di notizie circa l'esistenza di un'inchiesta condotta dalla magistratura la cui notizia veniva certamente veicolata dal direttore generale della Asl D'Amario nel corso della riunione che si era tenuta nel pomeriggio del 9 dicembre 2009 nel suo ufficio e alla quale avevano preso parte Bugiani e Colliva.

In effetti, questi ultimi due personaggi, dopo aver lasciato gli uffici della direzione generale, si erano recati presso l'ufficio di D'Intino e avevano iniziato a manifestare una certe preoccupazione per una presunta inchiesta. Verosimilmente, Bugiani e Colliva avevano informato anche Piscitelli che iniziava ad astenersi dall'uso del telefono cellulare del quale, fino a quel momento, aveva fatto un uso smodato soprattutto nelle comunicazioni».

FUGA DI NOTIZIE. Nell'informativa al pm Varone, la polizia ha ipotizzato a carico di D'Amario il reato di favoreggiamento ma la procura non ha addossato al manager quest'accusa: «Grave appare», dice il documento di Zupo, «il comportamento del direttore generale allorché, si ritiene, avverte i principali protagonisti della vicenda dell'esistenza di indagini in corso con comportamento chiaramente non cristallino. Come abbiano fatto gli indagati, o meglio D'Amario a sapere delle indagini è difficile dire, in quanto la vicenda era oggetto di ben tre procedimenti penali, successivamente riuniti, e in merito ai quali il 6 novembre 2009 (il giorno dopo l'avvio delle intercettazioni) il pm titolare delle indagini conferiva delega alla sezione di polizia giudiziaria aliquota della finanza i cui militari effettuavano alcuni sit».

APPALTO SOTT'ACCUSA. Al centro dell'inchiesta c'è il cantiere del polo materno-infatile che ha preso il via il 22 maggio del 2007 con l'ex direttore generale della Asl Antonio Balestrino. A vincere l'appalto da 2.392.791,94 euro una associazione temporanea d'impresa (ati) formata da due aziende pugliesi: la Cre impianti tecnologici di Foggia e la Edilcap di Candela di Gerardo Capocasale. Ma con «aumenti di spesa in corso d'opera» il costo è cresciuto fino a 7 milioni di euro. A far scattare l'indagine, un esposto dell'ex componente del collegio sindacale della Asl Fausto Di Nisio (consigliere Idv) e una denuncia della Edilcap. Cinque gli arresti eseguiti dalla squadra mobile il 15 marzo 2010: in carcere sono finiti D'Intino, un imprenditore foggiano e Piscitelli; ai domiciliari i direttori dei lavori Colliva e Bugiani. In questa prima fase dell'inchiesta, D'Amario è stato indagato soltanto per falso ma la sua posizione è finita poi archiviata: «Deve ritenersi», così ha deciso il pm Varone, «che D'Amario sia stato indotto in errore dalle modalità artificiose imputabili a D'Intino e ai direttori dei lavori che si sono succeduti».

D'AMARIO. Ma gli atti della squadra mobile parlano di un ruolo doppio di D'Amario: «Per quanto riguarda il direttore generale D'Amario, lo spaccato che esce in questa prima fase delle indagini è già di per sé devastante in quanto certifica la condotta di una persona o meglio di un responsabile di una struttura che dapprima avalla e quindi assume la responsabilità della perizia di variante la cui illiceità è palese e poi mette in atto una serie di comportamenti tra loro a volte contraddittori ma certamente derivanti dal tentativo di porre riparo a una illecita condotta iniziale».

Secondo gli atti dell'inchiesta, prima di presentarsi in questura Capocasale ha avvertito D'Amario delle irregolarità del cantiere ma il direttore generale non ha preso provvedimenti: «Il direttore generale», scrive Zupo, «di fronte alle dichiarazioni di Capocasale che lo mette al corrente di una devastante serie di illeciti non adotta alcuna iniziativa ritenendo che il problema fosse ascrivibile alla esclusiva responsabilità del rup, il cui parere però pare non contare più nulla quando ha notizia di attività d'indagine della magistratura». «In verità», scrive la squadra mobile, «solo il collegio sindacale espletava opportune indagini arrivando a produrre un esposto alla procura mentre il direttore generale aveva invece cercato di impedire persino l'acquisizione di atti pubblici al collegio proprio per evitare che qualcuno potesse ficcare il naso negli affari della Asl».

 

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