Attentato nella villa di Sebastiani: la Cassazione conferma la pena 

È diventata definitiva la condanna di 2 anni e mezzo di reclusione inflitta al tifoso Brian Di Marcantonio Il raid venne messo a segno dopo una sconfitta da cinque persone, ma soltanto una fu identificata

PESCARA. Diventa definitiva la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione (pena sospesa) per Brian Di Marcantonio, il tifoso del Pescara ritenuto responsabile dell'incendio che venne appiccato a due autovetture del presidente della squadra biancazzurra, Daniele Sebastiani, all'interno del giardino dell'abitazione di quest'ultimo. La conferma della condanna arriva dai giudici della Corte di Cassazione che hanno ritenuto infondate le argomentazioni addotte dal legale del ragazzo, l'avvocato Virgilio Golini (l'avvocato Nicola Lotti assisteva invece Sebastiani e la società Dada srl), condividendo la sentenza dei giudici d'appello che confermava a sua volta quella emessa il primo marzo del 2018 dal gup di Pescara, Antonella Di Carlo, con il rito abbreviato.
IL COMMANDO Un raid contro la massima dirigenza della squadra che venne portato a termine la notte del 7 febbraio 2017 da un gruppetto di cinque tifosi dopo l'ennesima sconfitta dei biancazzurri, in quella occasione pesantemente sconfitti dalla Lazio per 6-2. A inchiodare uno dei cinque responsabili (ne vennero individuati altri 2, ma poi le accuse contro di loro caddero) furono le riprese delle telecamere della zona che ripresero il gruppetto «prima, durante e dopo lo sviluppo dell'incendio, allorquando si danno alla fuga portando al seguito una bottiglia».
LE CELLE TELEFONICHE Ma c'è anche altro. «La presenza nei pressi dell'abitazione della vittima», scrivono i giudici della Suprema Corte, «proprio nei minuti in cui è divampato l'incendio, risulta documentata dalle celle telefoniche che hanno registrato la presenza dell'apparecchio cellulare in uso all'imputato».
Secondo il difensore, la responsabilità di Di Marcantonio sarebbe stata unicamente fondata su un generico giudizio di compatibilità di alcune caratteristiche fisiche dell'imputato con uno dei responsabili dell'incendio, senza che ne sia stata accertata l'identità fisica».
LA RICOSTRUZIONE Ma i giudici romani concordano con quanto motivato nei due gradi di giudizio. «Non è illogico», affermano, «il ragionamento compiuto dai giudici di merito i quali hanno evidenziato che l'incendio aveva luogo poco dopo le 3 del mattino, in una zona deserta (il lungomare, in pieno inverno) e in totale assenza di altre persone (a eccezione dei 5 piromani) sicchè, accertata la presenza del telefono dell'imputato proprio in quello specifico momento in un raggio di azione particolarmente ristretto intorno all'abitazione della vittima, non può che concludersi che l'individuo, dalle particolari caratteristiche fisiche (corpulento) e dal singolare incedere (andatura dinoccolata), entrambi corrispondenti, come la difesa non contesta, a quelle dell'imputato, deve identificarsi per l'odierno ricorrente, anche sulla base degli ulteriori, concordanti elementi indiziari che i giudici di merito hanno non illogicamente tratto dalle intercettazioni telefoniche».
LA TELEFONATA CHIAVE Anche queste ultime hanno contribuito alla condanna, insieme alla «forte preoccupazione della madre per i comportamenti inadeguati del figlio», emersa in fase di perquisizione nell'abitazione del ragazzo. «Non è illogica», aggiungono i giudici, «la valorizzazione in senso accusatorio della intercettazione telefonica nella quale l'imputato annuncia alla madre di avere acquistato il biglietto del treno per allontanarsi da Pescara, con una macchinetta automatica "per non rischiare", così rendendo evidente la propria preoccupazione di essere individuato e, verosimilmente, tratto in arresto mentre cercava di allontanarsi da Pescara».
L’IDENTIFICAZIONE E la Corte conclude ritenendo «generiche le critiche che riguardano l’identificazione dell'imputato perché i giudici d'appello hanno precisato come nell'informativa del 3 marzo 2017, a differenza di quella del 24 marzo 2017, citata dalla difesa, l'identificazione risulta certa sulla base di alcune valutazioni tecniche operate dalla polizia che ben conosceva l'imputato, per averlo già in precedenza monitorato».