Bancarotta Aca, 4 anni a Di Cristoforo 

L’ex presidente condannato con l’ex dg Forestieri e una componente del cda. Patteggia l’ex vice presidente Di Michele

PESCARA. Tre condanne con il rito abbreviato, un patteggiamento e un rinvio a giudizio. Si chiude così, davanti al gup Gianluca Sarandrea, la vicenda giudiziaria legata alla bancarotta fraudolenta dell'Aca. I tre abbreviati riguardano l'ex presidente Ezio Di Cristoforo, condannato a 4 anni e 4 mesi di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata; Concetta Di Luzio, componente del cda dal 2010 al 2013, condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione; stessa pena per l'ex direttore generale Candeloro Forestieri.
IL RISARCIMENTO Tutti e tre sono stati poi condannati dal giudice a pagare il risarcimento danni alla parte civile costituita, Aca, che dovrà però essere quantificato in sede civile: intanto il gup ha disposto il pagamento di una provvisionale di 100mila euro (il legale dell'Aca, Ugo Di Silvestre, ne aveva chiesti 600mila a fronte di un danno che si aggirerebbe intorno ai 4 milioni di euro).
La strada del patteggiamento è stata scelta invece dall'ex vice presidente dell'Azienda acquedottistica, Giuseppe Di Michele, che ha concordato con l'accusa una pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione, con l'inabilità a svolgere attività in imprese commerciali per la durata della pena.
L'altro direttore generale, Bartolomeo Di Giovanni, che aveva preceduto Candeloro nell'incarico, ha scelto invece la strada del rito ordinario e per lui il giudice ha disposto il rinvio a giudizio con prima udienza del processo fissata al 18 settembre prossimo.
LE RICHIESTE DEL PM La pubblica accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Anna Rita Mantini, aveva chiesto condanne quasi simili: 5 anni per l'ex presidente, e 3 anni per gli altri due dell'abbreviato. Si chiude così, quasi definitivamente (resta sospeso per ora l'esito del processo per Di Giovanni), una pagina della vita di questa tormentata società, da sempre coinvolta in guai giudiziari a causa di una cattiva gestione da parte dei vertici societari, che in questa circostanza avrebbero accumulato passività per quasi 120 milioni di euro. E anche questo procedimento, nel quale gli imputati erano stati chiamati a rispondere di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in concorso fra loro, si registrano accuse pesanti. Secondo la procura, negli anni dal 2009 al 2012, gli imputati avrebbero omesso «fraudolentemente di iscrivere nei bilanci consistenti componenti negativi di reddito ovvero indicavano maggiori proventi straordinari». E qui si parla di cifre importanti, di oltre 36 milioni di euro nei quattro anni incriminati. E oltre a questo «rilevavano proventi straordinari non di competenza dell'esercizio di iscrizione e comunque inesistenti, nella misura almeno pari a 961mila euro per il 2009, 3 milioni e 700mila euro per il 2010, 2 milioni e 990mila euro per il 2011, e 3 milioni e 500mila per il 2012».
C'è poi il capitolo che riguarda le somme distratte: «Dissipavano», si legge nel capo di imputazione, «le disponibilità della società» per finalità diverse da quelle aziendali. Basta dire che Di Cristoforo avrebbe intascato circa 250mila euro a titolo di indennità di risultato (mentre invece il bilancio vero avrebbe dato dati negativi), così come 103mila euro sarebbero finiti nelle tasche di Giuseppe Di Michele e 11mila euro in quelle di Concetta Di Luzio.
ACQUISTO CARNI E se non bastasse «distraevano somme di denaro solo apparentemente erogate per finalità istituzionali, ma in realtà destinate a fini meramente ludico-ricreativi e mai giustificate da alcun atto deliberativo del cda»: e parliamo di 55mila euro per spese di ristorazione e acquisto di carni. Ultima contestazione è relativa al fatto di non aver permesso il controllo da parte dell'Ato, non inviando la documentazione reale della situazione economico-finanziaria e quindi ostacolando le funzioni di vigilanza dello stesso Ato.