Pescara

Bimbo nasce con malformazioni, i genitori chiedono un milione e mezzo di risarcimento alla Asl

8 Ottobre 2025

Pescara. La coppia, informata dei gravi rischi per madre e nascituro, decise di interrompere la gravidanza ma alla fine la donna fu fatta partorire. Oggi il figlio ha gravissime patologie. La replica della Asl: “Condotta corretta, nessuna responsabilità” 

PESCARA. Una gravidanza che non doveva essere portata a termine per le tante conseguenze negative che avrebbe avuto sulla salute della madre e soprattutto per il nascituro che rischiava di venire alla luce con gravissime malformazioni che lo avrebbero condannato per tutta la vita a una non esistenza. Un caso estremamente delicato del quale da dicembre dovrà occuparsi il tribunale civile di Pescara, chiamato in causa dai genitori che, informati della possibilità di interruzione volontaria per i motivi che emergevano dalla documentazione medica e dalle dichiarazioni degli stessi sanitari dell'ospedale civile di Pescara che si occuparono di quella gravidanza (almeno fino al momento in cui passarono il caso, ai colleghi dell'ospedale di Chieti), non riuscirono a ottenere il rispetto della loro sofferta decisione di interrompere quella gravidanza. E ora sarà il giudice civile a esaminare questa vicenda dalle rilevanti criticità, e a valutare la richiesta di risarcimento danni che lo studio legale di Claudio e Matteo Di Tonno, che assiste i genitori, ha avanzato nei confronti della Asl di Pescara quantificando il danno in un milione e mezzo di euro tra danni morali, patrimoniali, esistenziali. Per una donna che, all'oscuro di tutto, entra in ospedale il 20 novembre del 2017 per minacce di aborto e ne esce soltanto il 17 gennaio del 2018, ma per essere trasferita a Chieti dove i sanitari sono costretti a un intervento cesareo urgente, facendo nascere un bimbo con gravissime malformazioni. Eppure, i sanitari di Pescara il 9 dicembre del 2017 erano stati chiari, annotando sulla cartella della paziente la presenza di scarsi movimenti fetali con segni ecografici di distacco della placenta.

«Si informa la paziente», scrivevano, «circa i rischi fetali e le eventuali conseguenze in termini di morbilità e mortalità, riconducibili alla nascita prematura; si informa inoltre dei rischi materni potenziali, in particolare di natura infettiva. Si informa infine la paziente circa la possibilità di Ivg (interruzione volontaria della gravidanza ndr) e dei termini di legge per la sua effettuazione». E nonostante la donna avesse espresso chiaramente ai sanitari la sua volontà, anche se con comprensibile disagio e con grande angoscia, di interrompere la gravidanza, inspiegabilmente questo passaggio fondamentale, prospettato dagli stessi sanitari, non venne effettuato.

Non solo, ma i sanitari non procedevano neppure alla rimozione del cerchiaggio (che avrebbe dovuto impedire infezioni, ma che venne eseguito soltanto dai sanitari di Chieti durante il cesareo), da loro stessi ritenuta indispensabile, omettendo poi di procedere all’interruzione della gravidanza, tanto che i consulenti tecnici scrivono nella loro relazione: «...Si ribadisce l’impossibilità per i sottoscrittori Ctu a stabilire quali furono le situazioni addebitabili ai sanitari che portarono alla mancata interruzione della gravidanza».

Dal momento del primo ricovero a Pescara e fino al trasferimento a Chieti tutti gli esami e gli accertamenti eseguiti non avevano fatto altro che confermare la grave situazione per la salute della donna e del nascituro. E nonostante tutto, una inspiegabile condotta (vennero anche interrotte alcune terapie proprio a seguito della decisione della donna di interrompere la gravidanza), portò poi alla nascita di un bimbo affetto da diverse e gravissime patologie e malformazioni, che necessitano di continue cure ed assistenza. «Il minore», si legge nel ricorso, «è incapace di attendere ai più elementari atti, anche di natura automatica quali, ad esempio, deglutire il cibo e l’acqua, reagire a stimoli sensoriali, non avendo tra l’altro alcuna possibilità di orientamento spazio-tempo».

Il bimbo venne sottoposto anche a quattro interventi chirurgici in diversi ospedali e i consulenti che trattarono il caso dichiararono che l’autonomia del bimbo «è praticamente nulla: ogni aspetto della sua vita richiede un intervento costante e supervisione ininterrotta. Non è in grado di gestire autonomamente nessuna attività quotidiana, sociale, educativa o di autocura senza il completo supporto di adulti formati e l’uso di attrezzature specialistiche».

Da qui le richieste del legale Di Tonno che elenca tutta una serie di problematiche relative all’assistenza del bambino, ma anche i risvolti che colpiscono la coppia e le loro singole vite (la donna non ha potuto più lavorare per assistere il bambino), stravolte da quella nascita che i due avevano deciso di evitare per le gravissime ragioni mediche che i sanitari avevano loro prospettato. Per non parlare dei continui ricoveri (ospedale di Chieti, Policlinico Gemelli, ospedale civile di Venezia, Bambino Gesù e via discorrendo), con relative spese, che i genitori hanno dovuto finora sostenere. E il legale conclude il ricorso chiedendo al tribunale civile anche di decidere su una apposita consulenza tecnica ai fini della determinazione delle spese necessarie per l’assistenza al bambino per tutta la durata della sua vita.

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                                               LA REPLICA

In riferimento all’articolo pubblicato oggi, 8 ottobre 2025 dal quotidiano Il Centro (“Bimbo nasce con malformazioni” pag. 17), la ASL di Pescara precisa che il recente ricorso promosso dagli avvocati Matteo e Claudio Di Tonno è stato notificato all’Azienda in data 30 settembre 2025. La prima udienza dinanzi al Tribunale civile di Pescara è fissata per il 17 dicembre prossimo, quando l’Autorità giudiziaria valuterà le condizioni di procedibilità e, se del caso, disporrà l’istruttoria. Dagli atti a disposizione della ASL emerge che lo studio legale Di Tonno, oltre a quello più recente, ha avviato altri 2 distinti procedimenti per la stessa vicenda, uno dei quali è stato dichiarato inammissibile dall’Autorità giudiziaria. Riguardo l’altro, il Tribunale di Pescara ha nominato un collegio tecnico d’ufficio (CTU) composto da specialisti in Ostetricia e Ginecologia e in Medicina legale, i quali hanno concluso che “non vi sono stati trattamenti sanitari erronei posti in essere dai sanitari dell’Ospedale di Pescara che ebbero in cura l’assistita” e che “non si ravvisano profili di errore imputabili ai sanitari ribadendo l’assenza di comportamenti erronei che possano aver influito negativamente sul procedere degli eventi connessi alla situazione patologica di base”. Il Tribunale ha quindi ritenuto che l’operato dei professionisti dell’Ospedale di Pescara fosse pienamente conforme alle linee guida nazionali e alle buone pratiche clinico-assistenziali, escludendo qualsiasi profilo di responsabilità a carico della ASL di Pescara.

Pescara, 8 ottobre 2025