PESCARA

Bolletta della luce da 3.300 euro: «Basta, chiudo la mia gelateria» 

Piazza Salotto, lo sfogo del proprietario: «Lascio tutto dopo otto anni di attività». Le prime difficoltà a maggio, fino alla batosta di settembre: «I costi sono aumentati di cinque volte»

PESCARA. Dopo l’ultima bolletta stratosferica ha deciso di chiudere l’attività, di abbassare la saracinesca. Luci spente per sempre nella gelateria “Mille e una cialda”, a piazza della Rinascita, perché il titolare, Christian Santilli, ha preferito non correre rischi e lasciare tutto «dopo otto anni di attività e un pacchetto di clienti ormai formato». È lui a raccontare come sono stati gli ultimi mesi di attività, tra le spese che crescevano da una parte e l’impossibilità di fronteggiare questi incrementi riversando tutto sui clienti.

Le difficoltà si erano manifestate da un po’. «Da maggio, più o meno, sono cominciati gli aumenti, per la bolletta della luce. Siamo passati da 600 – 700 euro a 1.000 – 1.500 e poi, a settembre, la fattura era di 3.300 euro, relativa al mese di agosto. I consumi erano sempre gli stessi, l’unica cosa che può aver inciso era il condizionatore. Ci aspettavamo di dover pagare di più, certo, ma non cifre spropositate come queste, per cui ho finito la stagione e ho chiuso. Nessun fallimento» solo una scelta dettata da condizioni di lavoro stravolte.

Santilli è rimasto spiazzato di fronte alla lievitazione di tutti i costi, non solo quello dell’energia. Ma soprattutto si è sentito disorientato, dal punto di vista imprenditoriale, dalla costante incertezza. «Prima è schizzato il costo della benzina, l’anno scorso, e di conseguenza i fornitori hanno aumentato i prezzi, per cui noi abbiamo aumentato di 50 centesimi il costo al pubblico del cono piccolo. Poi sono cominciati gli altri aumenti dei prodotti, come latte e panna, ma anche coppette, coni, cucchiaini. Ed è raddoppiato l’importo del suolo pubblico, che era stato azzerato, durante il Covid». Una raffica di costi maggiorati, senza alcuna certezza.

«Come faccio a vendere un prodotto se non so quanto lo pago?», si chiedeva Santilli che ha preferito fermarsi, non potendo affrontare delle scelte ponderate sulla certezza.
Per fare fronte a tutto «avremmo dovuto vendere un cono a minimo 2,70 euro, per andare avanti. Ma senza una riduzione dei costi sarebbe stato complicato andare avanti e credo lo sia per gli altri. È stato un sollievo, chiudere, perché si rincorrevano i pagamenti e le comunicazioni dei fornitori che annunciavano aumenti per via dei maggiori costi». Le due dipendenti che lavoravano con lui le ha «mandate a casa» e ora sta cercando di spostarsi «su un altro settore, dove ci può essere un margine di guadagno maggiore, sempre nel commercio».

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