Caravaggio e Bacon I grandi maledetti in mostra a Roma

«Guardava intorno a sé e la realtà gli appariva in “pezzi” bloccati di universo dove non era luogo né a contorni, né a rilievi, né a colori come formule astrattive». Nel rileggere oggi il saggio con cui, 57 anni fa, Roberto Longhi ricollocò Caravaggio al centro della grande arte italiana c’è quasi un presagio di affinità future. Quei «pezzi bloccati di universo», in cui il grande storico dell’arte individuava l’essenza di Michelangelo Merisi, sembrano un preannuncio della pittura di Francis Bacon.

Quella segreta corrispondenza fra il grande lombardo (1571-1612) e il pittore irlandese scomparso nel 1992 dopo aver dominato l’arte del secondo Novecento, è al centro di una delle mostre più belle dell’anno, allestita nella Galleria Borghese di Roma.

Intitolata semplicemente «Caravaggio-Bacon», la mostra apre le celebrazioni per il quarto centenario della morte di Michelangelo Merisi (che cade il 18 luglio 2010), portando a Roma una decina di dipinti che arricchiscono la magnifica raccolta del museo romano, mentre dell’artista irlandese (del quale, il 28 ottobre, ricorre il centenario della nascita) sono presentate 17 tele, tra cui i Trittici (August e quello ispirato all’Orestiade di Eschilo), gli studi per i ritratti (di Lucian Freud, di George Dyer), il ritratto di Papa Innocenzo X, gli autoritratti.

La mostra è stata inaugurata venerdì scorso e resterà aperta fino al 24 gennaio.
Artisti maledetti, Caravaggio e Bacon sono due degli interpreti più innovativi della rappresentazione della figura umana. A dimostrarlo i sei capolavori di Caravaggio custoditi alla Borghese (tra cui il Bacchino malato, Davide con la testa di Golia, la Madonna dei Palafrenieri, il Fanciullo con canestro di frutta), cui si affiancano opere capitali come la Negazione di Pietro del Metropolitan Museum di New York o la Caduta di Saulo di Santa Maria del Popolo a Roma.

«La presenza di Bacon in queste sale è un momento storico, che getta un ponte tra arte classica e moderna», ha detto, in quell’occasione, il critico d’arte, Michael Peppiatt, biografo, amico e massimo conoscitore dell’artista e, con la direttrice della Galleria Borghese, Anna Coliva, curatore della mostra. «Bacon sarebbe molto fiero di questa esposizione, perché, nonostante fosse autodidatta, era consapevole della grande tradizione antica. Del resto, per lui che negli anni Ottanta, già famosissimo, riteneva comunque che ci sarebbero voluti almeno 50 anni per capire se le sue opere avessero veramente qualità, questo allestimento in cui i suoi dipinti sono affiancati ai Caravaggio, Tiziano e Raffaello della Borghese, equivale a una consacrazione».
I temi del destino umano e dell’impossibilità della redenzione al di fuori dei sentieri della grazia che innervano la pittura di Caravaggio, si specchiano nell’universo rattrappito di Bacon dove la disperazione della condizione umana pare senza una via d’uscita che non sia quella - pur sempre precaria - dell’arte.

Caravaggio e Bacon, entrambi omosessuali, gettano le loro creature in un universo di tragedia: la testa decapitata di Golia che sembra commiserare il suo destino e, insieme, quello di Davide è, alla fine, non dissimile da quella di Isabel Rawsthorne ritratta da Bacon.
Se Caravaggio è il pittore del realismo, Bacon è per eccellenza il pittore dell’inconscio. Maurizio Calvesi, che figura tra gli autori del catalogo, scrive a questo proposito: «In Francis Bacon c’è una visione angosciosa del reale che passando attraverso l’inconscio riemerge in forme che potremmo definire “mostruose”. Va sottolineato però che in Caravaggio c’è piuttosto un affanno, un ansia di salvazione, non un angoscia così profonda come in Bacon, che è invece tipica dell’età moderna».