Ciarrocchi e Chiola ecco le foto d’epoca

Le famiglie, una di Santa Filomena e l’altra di Villa Carmine, si raccontano Adesso tocca a voi: continuate a inviarci le vostre vecchie immagini

MONTESILVANO. Sono quelle dei Chiarrocchi e dei Chiola le prime famiglie che ci hanno mandato le foto di com’erano. Immagini in bianco e nero che raccontano una doppia storia: come erano i Ciarrocchi e i Chiola tanti e tanti anni fa e come erano due angoli di Montesilvano, da una parte Santa Filomena e dall’altra Villa Carmine. Ora, continuate a mandarci le vostre vecchie foto: potete farlo all’indirizzo montesilvanooggi@ilcentro.it, via Facebook o Twitter oppure visitando la nostra redazione in via Tiburtina 91 a Pescara o telefonando al numero 085.20521.

La foto della famiglia Ciarrocchi risale al 1963, proprio 50 anni fa: «Eravamo arrivati dalle campagne teramane in cerca di un futuro migliore», ricorda Antonio Ciarrocchi passando in rassegna la foto che ritrae, in alto a destra, la mamma Maria, il capofamiglia Ettore, la sorella Pasqua e, in basso, i bambini Giovanna, Luciana e proprio Antonio. Sullo sfondo, è possibile vedere la zona della pineta di Santa Filomena e, dice Antonio, «le rare case coloniche»: pensare che nel 1963, la pineta non era ancora una riserva naturale – è stata istituita soltanto nel 1977 – ma di alberi ce n’erano sicuramente tanti di più rispetto a oggi con parti bruciate dal sole. E le «rare case coloniche»? Oggi, proprio lì, svettano i palazzi più alti di Montesilvano.

La famiglia Chiola, invece, è un simbolo del Chilometro lanciato: in via Vestina, papà Roberto portò gli arrosticini e secondo la leggenda il vento spinse l’odore della carne di pecora infilzata in bastoncini di legno per tutto il quartiere. Nella foto di una prima comunione risalente al 10 giugno 1971, si vede Carlo Chiola sorridente, oggi il patron dell’Hostaria Vestina, insieme alle sorelle Lella e Mirella e Stefania e poi ci sono mamma Elena e papà Roberto. Alle spalle di una famiglia radunata per un giorno di festa si vede una piccola costruzione in cemento: è proprio l’Hostaria Vestina, un locale aperto da 41 anni con il primato di stare sempre allo stesso indirizzo.

Una città cambiata in pochi anni, non soltanto a Villa Carmine e Santa Filomena ma anche lungo il mare con l’arrivo della ferrovia. Ne sa più di qualcosa l’ex sindaco Renzo Gallerati, appassionato di storia cittadina e ferrovia. Risale proprio agli anni dell’amministrazione Gallerati la stampa del libro «Montesilvano città tra i binari» che racconta come e quanto la ferrovia abbia inciso sul destino di un paesotto che fino al 1936 contava appena seimila abitanti. E sulla prefazione Gallerati ci mette poche righe per spiegare la metamorfosi di Montesilvano: «I luoghi che si connotarono come contrade denominate ad esempio Fiume morto, in ragione della mancata regimentazione delle acque del fiume Saline, divennero in breve ubicazione di attività, opifici, aziende, magazzini, fabbriche, beneficiari di un sistema nuovo di traffici fruibile su sue arterie stradali importanti e una ferrovia di interesse internazionale, senza poter contare, fino al 1929, su una nuova ferrovia in grado di collegare la costa con le realtà dell’entroterra vestino, opulento e ricco di sana tradizione, oltre che di storia».

Un paio di binari per cambiare le sorti di una città che almeno fino ai primi anni del Novecento non era stata altro che un «paesello». Così lo chiamava, infatti, un “certo” Emidio Agostinone, deputato socialista montesilvanese: «Il paesello di dove scrivo», recita un passo dello scritto «Dalla terra d’Abruzzo», «è un pugno di case grandi e piccole che la sera brillano nella loro bianchezza sulle ombre taglienti del viale d’acacie che fiancheggia l’unica strada, anch’essa bianca, abbagliante, alla luce vivissima del gas moderno per eccellenza – dell’acetilene – profuso senza risparmio che ha fugato l’oscurità assoluta gradita soltanto alle rade coppie del borgo (...). Così dappertutto dove le ferrovie han preso il posto delle antiche, lente e malfide dilingenze».

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