Massimo Ballone torna a casa: carcere revocato, sì ai domiciliari

Il bandito riparte dal quartiere popolare di San Donato, proprio dove iniziò la carriera criminale. Un ricorso ha fatto breccia al tribunale di Reggio Calabria: tre anni di detenzione lo hanno redento
PESCARA. Massimo Ballone, il bandito simbolo della malavita abruzzese, è tornato agli arresti domiciliari nel suo quartiere di San Donato. A Ballone – rapinatore per fame di soldi, poi redento fino alla laurea in carcere e poi ancora bandito ma con un codice d’onore di sparare solo “al di sotto del cuore” – sono stati concessi i domiciliari: ha lasciato la cella del carcere di San Donato ed è tornato alla periferia di Pescara, proprio lì dove tutto iniziò, negli anni Ottanta, cioè il sogno di mettere a segno le rapine per guadagnare soldi facili: prendersi con le armi quello che, fino a quel momento, la vita gli aveva negato.
Ma a 64 anni, dopo l’ultima condanna a 18 anni di carcere per gli affari di droga con le cosche della ’ndrangheta, Ballone sembra un uomo cambiato: il giudice di Reggio Calabria aveva detto, già nei mesi scorsi, che in lui si era «determinato un rilevante effetto deterrente circa la commissione di condotte recidivanti o penalmente rilevanti, prodotto del non breve periodo di detenzione cautelare già sofferto». E allora proprio su questo ha fatto leva il suo avvocato, Carlo Di Mascio, per ottenere un beneficio, cioè niente più carcere ma arresti domiciliari. Nell’ultimo ricorso presentato al tribunale di Reggio Calabria, Di Mascio parla di «encomiabile condotta sin qui svolta dal predetto nello svolgimento della misura, attraverso la fruizione di permessi per controlli clinici che lo hanno interessato e per presenziare al processo che lo riguarda». Altro punto è questo: «Ballone ha 64 anni, con problemi di salute e un nucleo familiare con moglie e due figli da lui totalmente dipendente, e che il suo protratto status detentivo, dal 16 novembre 2022, lo ha posto in una condizione di grave decozione economica». Sembra un ossimoro ripensando ai pacchi di soldi che, secondo l’accusa, Ballone contava da cassiere dei clan: «Ho contato piccioli, sono esattamente 11.178. Mancano 220 euro. Sono impazzito a contare pezzi da 10 e anche da 5», così dice un’intercettazione telefonica che gli investigatori erano riusciti a ottenere violando i sistemi criptati usati da Ballone e dagli altri personaggio coinvolti. Secondo le carte di quell’indagine, a Pescara, Ballone avrebbe «detenuto, trasportato e venduto» almeno quasi venti chili di cocaina tra il 2020 e il 2022 aggirando anche le restrizioni del lockdown: affari stimati in circa 400mila euro, più altre due cessioni «a un prezzo non accertato». Ora, però, quei soldi non ci sono più.
Tutto cambia, dice il ricorso della difesa che ha fatto breccia al tribunale reggino: Di Mascio parla di «assenza di qualsivoglia elemento – non solo concreto, ma anche attuale – idoneo a far prevedere, in termini di alta probabilità, eventuali fughe o condotte recidivanti, ovvero un perdurante collegamento con l’ambiente in cui i delitti sono maturati e, dunque, una concreta proclività a delinquere; la circostanza che il Ballone vive da sempre a Pescara e che le condotte ascrittegli sarebbero state commesse, a tutto concedere, mentre si trovava a Pescara e da dove, per acclarate acquisizioni probatorie “satellitarie e telematiche”, non si è mai allontanato, né, tantomeno, mai recandosi nelle diverse distanti località ove i fatti delittuosi si sarebbero svolti».

