Cocaina alla Pescara bene: dai carabinieri 99 clienti, c’è anche un ex calciatore

17 Dicembre 2025

Tra loro imprenditori e commercianti, la droga consumata spesso nei locali. La richiesta di Lepore al gioielliere: «Me lo faresti il favore? Io ti faccio il bonifico e tu mi dai i contanti». E lui: «Frect»

PESCARA. Sta per partire la maratona degli investigatori che dovranno interrogare un centinaio di clienti-consumatori di sostanze stupefacenti rimasti invischiati in una complessa inchiesta su uno spaccio di cocaina che ha toccato la così detta “Pescara bene”. In attesa di conoscere la decisione del gip sulle 17 misure cautelari richieste dalla procura, davanti ai carabinieri del Nor di Pescara che hanno condotto le indagini, dovranno sfilare 99 persone che si sono rifornite di cocaina dal gruppo smascherato da questa inchiesta, con al vertice tre albanesi (Elidon Ngjela, Kevi Keraci e Hergys Myrtaj) che guidavano un nutrito gruppo di pescarese, tutti noti alle forze dell’ordine e che lunedì scorso sono comparsi davanti al gip Mariacarla Sacco per gli interrogatori preventivi.

Davanti ai carabinieri sfilerà una gran quantità di personaggi molto noti a Pescara: imprenditori di vario genere, professionisti (avvocati, medici), titolari di ristoranti storici della città che fungevano da “intermediari” tra gli spacciatori e insospettabili pescaresi che intendevano concludere le loro serate a tavola, “sniffando” la cocaina che gli stessi ristoratori gli procuravano dietro loro richiesta. E poi ancora un ex calciatore del Pescara; il titolare di un bar che acquistava in gruppo con l’ex titolare di una vineria; anche i gestori di uno stabilimento balneare. È lo spaccato di un fenomeno di ampie proporzioni dove consumare cocaina, in certi ambienti pescaresi è diventato quasi la normalità. Personaggi insospettabili, attivi in vari settori della vita economica cittadina, tenuti ormai sotto scacco da un nutrito gruppo di spacciatori, sempre più organizzato, che con questa dipendenza condiziona la loro vita.

Ristoratori che consumano diversi grammi di cocaina al giorno; professionisti che arrivano a scontare le loro prestazioni lavorative (pratiche legali) in cambio di cocaina; rivenditori di gioielli e orologi che finiscono addirittura per proporre loro, ai rifornitori, una via per “ripulire”, in un certo senso i guadagni della droga. Come si evince da una conversazione tra Luigi Lepore, dipendente di una cooperativa di portierato dell’ospedale civile, fra i destinatari della misura cautelare, e un noto gioielliere di Pescara che gli dice: «Scusa, ma a te servono i soldi ufficiali», e Lepore risponde, «sì se me lo potresti fare il favore». E il commerciante aggiunge in dialetto, «Frect», e di rimando «io ti faccio il bonifico e tu mi dai i contanti», facendo figurare l’acquisto di orologi.

Questo perché Lepore, che era in possesso di molti soldi contanti (secondo gli inquirenti derivanti dalla droga), dovendo acquistare una potente auto da circa 60mila euro, aveva bisogno di pagare in maniera tracciabile e quindi il gioielliere gli propone la questione dei bonifici. Ma nelle tantissime intercettazioni di vario genere (con trojan, ambientali in auto e intercettazioni telefoniche), che costituiscono il fulcro dell’inchiesta, vengono in evidenza anche situazioni critiche tra fornitori e spacciatori sulla qualità della merce.

Come quando Antonio Tarroni (ex carabiniere) parla con un suo rifornitore sardo: «Me lo devo mangiare io sto taglio», dice al sardo che lo smentisce. E Tarroni replica: «Io non sono scemo se per 40 euro te lo ridò indietro, non sono scemo. Perché uguale a questo qua io lo vendo a 100. Se buoni in mezz’ora li vendo, hai capito?». E il sardo spiega che su 100 pezzi ce ne sono comunque 90 buoni e 10 di taglio, cose che possono capitare. Ma Tarroni gli risponde: «Se vai a Napoli ti sparano». La rete degli spacciatori di vario livello è tutta pescarese: soggetti più che noti ai carabinieri che nelle intercettazioni li identificano subito dal timbro della voce e dai soprannomi inconfondibili.

Sopra di loro, come detto, i tre albanesi con in testa Elidon Ngjela che la procura tratteggia così: «È senz’altro il soggetto di maggiore spessore criminale emerso nel corso dell’indagine, non tanto per le capacità di commettere reati violenti, sebbene tra i suoi precedenti figurano episodi gravissimi, quanto per l’ampiezza e l’efficienza della rete di contatti di cui dispone. Dalla Laguna veneta a Brescia, da Roma a Firenze e in diverse zone dell’Abruzzo, Ngjela si muove con disinvoltura, con un unico obiettivo: reperire cocaina da commercializzare anche in territorio abruzzese. Nella piazza pescarese il suo principale referente e Kevi Kereci, tratto in arresto insieme a Ngjela l’11 febbraio 2025 mentre rientravano da Tivoli a bordo di un veicolo carico di oltre un chilo di cocaina.

Ngjela, residente a Tortoreto, si avvale di alcuni luogotenenti di massima fiducia, in particolare Kereci e Hergys Myrtaj, quest’ultimo addetto alla distribuzione locale. Nei prossimi giorni la decisione del gip sulle misure che, oltre ai tre albanesi, riguardano Roberto e Aldo Martelli, Lepore, Tarroni, Emilio Galliero (detto “Schulz”), Bruno Creati, Fioravante Spinelli (detto “Pallino”), Moreno Sagazio, Roberto Fioravanti, Sergio Morelli (detto “Balò”), Francesco Cardia, Davide Di Pietrantonio, Alessandro Sammassimo e Davide Tiberii.

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