Cocaina alla “Pescara bene”, spuntano altri 11 indagati: l’ombra di un gruppo armato

24 Dicembre 2025

Dalle intercettazioni emerge un’organizzazione para criminale dietro ai tre rifornitori albanesi: «Non mi posso prendere una schioppettata per colpa tua», dice un intermediario a un imprenditore

PESCARA. Dalle carte dell’operazione “Mare Magnum” condotta dai carabinieri contro lo spaccio di cocaina e crack alla “Pescara bene”, emergono circostanze che lasciano intendere l’esistenza di una vera organizzazione alle spalle dei tre albanesi coinvolti, e il rischio di violenze fisiche e intimidatorie.

LA “SCHIOPPETTATA”

Sintomatiche sono due conversazioni intercettate tra Sergio Morelli (detto “Balò”, uno degli arrestati) e un grosso imprenditore pescarese che risulta indagato. Il primo sollecita un intervento per evitare gravi conseguenze legate a un debito non saldato nei confronti di soggetti albanesi che potrebbero essere anche diversi dai tre arrestati, e cioè il capo Elidon Ngjela, e poi Kevi Kereci e Hergys Myrtaj. Si parla dell’esito di una intermediazione non andata a buon fine e l’imprenditore dice: «Per tre tele passa oggi, per le altre tre passa domani (un codice per indicare somme di denaro ndr)». Ma Morelli gli risponde: «È venuto un altro, non quello che conosciamo noi, è un macello, non ci sta con la testa... non è che mi devo prendere una schioppettata per colpa tua?». E l’imprenditore, forse senza rendersi conto del livello di pericolosità dei personaggi, gli risponde: «Ma non possiamo dargliela noi una schioppettata?». E la procura sottolinea come questi «episodi rappresentano un momento di forte crisi operativa per il sodalizio criminale di riferimento. La telefonata tra Morelli e l'imprenditore consumatore fa emergere il clima di tensione crescente all’interno della rete di distribuzione, nonché il possibile coinvolgimento di soggetti armati e instabili.

CONTESTO PARACRIMINALE

La gestione economica del debito viene affrontata come in un contesto paracriminale, con divisione delle responsabilità finanziarie e minacce sottese di rappresaglie fisiche, a conferma del carattere organizzato e pericoloso della struttura investigata». A riguardo la procura evidenzia anche che «le comunicazioni codificate, in connessione con un interlocutore abituale, sottolineano l’esistenza di un canale strutturato di approvvigionamento e distribuzione che merita approfondimenti investigativi per identificare l’intera filiera e i potenziali ulteriori clienti».

50MILA EURO AL CHILO

Il lavoro dell’attuale pm Gennaro Varone e dei carabinieri del servizio operativo del Nor di Pescara sta andando avanti. Da quanto emerge dalle indagini, i tre albanesi si stavano attrezzando anche per arrivare a una fase lavorata del prodotto: cioè ritagliare e confezionare una partita di stupefacente grossa (presumibilmente cocaina) in panetti più piccoli, idonei per la vendita al dettaglio. Questo risulta proprio da una intercettazione tra Myrtaj e Kereci. Quest’ultimo «illustra con dovizia di particolari», si legge nelle carte dell'inchiesta, «il processo tecnico: un chilo di materia prima, una volta “lavorato” in laboratorio da personale specializzato, diventa 10 chili che venduti a 5 euro al pezzo (50.000 al chilo), garantisce un margine netto di 18mila euro a partita».

UN LABORATORIO CLANDESTINO

E la Procura rimarca: «L’episodio evidenzia la struttura organizzativa di un vero e proprio laboratorio clandestino di stupefacenti, con ruoli definiti (organizzatore, manovalanza, distributori) e procedure codificate di lavorazione e vendita. Myrtaj e Kereci non si limitano alla semplice cessione, ma pianificano la trasformazione della materia prima in confezioni da spacciare al dettaglio, massimizzando il profitto». E dunque c’è ancora molto da scoprire su quei pacchi di cocaina (non meno di mezzo chilo per volta) che arrivavano quasi sicuramente dall’Albania e che spesso viaggiavano in treno, come scrive la procura.

VENTOTTO INDAGATI

Poi c’è la seconda fase dell’inchiesta, della quale si stanno occupando i carabinieri che dovranno interrogare i clienti che giornalmente si rifornivano dagli albanesi e dai loro sottoposti. Un elenco dei nomi che coinvolge imprenditori, medici, avvocati, commercianti e ristoratori, con intercettazioni inequivocabili sul consumo di droga e sui rapporti con gli indagati. E questi ultimi non si limitano ai 17 nomi per i quali la procura ha richiesto la misura cautelare (16 quelle disposte dal gip), ma al momento arrivano a 28, con altri 11 indagati, tra cui un noto ristoratore e un imprenditore che lavora anche per la pubblica amministrazione).