Concorsi al Comune di Pescara, il Pd punta sull’ironia: «Posti fissi per i parenti»

Spunta la vignetta satirica, Di Marco: «Santilli ha confuso la pianta organica con l’asse ereditario». Castigliego (Gd): «Subito una Commissione vigilanza per ristabilire trasparenza»
PESCARA. «Se anche tu hai un parente in consiglio comunale, iscriviti alle prossime prove, classificati in fondo alla graduatoria e conquisterai il tuo posto fisso portando con te l’intera carovana dei candidati». È questo lo slogan lanciato a caratteri cubitali sul manifesto del Partito Democratico dopo il caos scoppiato in Comune per i concorsi pubblici e il sospetto di procedure “ritoccate” per permettere l’ingresso di determinati candidati vicini ad alcuni amministratori e dirigenti pubblici. La vicenda esplosa attorno ai concorsi pubblici comunali, non è più una polemica di giornata ma una frattura politica profonda che investe il senso stesso dell’amministrare. E il fuoco incrociato che arriva dal consigliere regionale del Pd Antonio Di Marco e dai Giovani Democratici di Nuova Pescara lo certifica senza attenuanti.
«Leggiamo le cronache pescaresi con quello smarrimento di chi, convinto di aver toccato il fondo, scopre che qualcuno ha iniziato a scavare», attacca Di Marco, puntando dritto al vertice istituzionale di Palazzo di Città. Nel mirino il presidente del consiglio comunale Gianni Santilli, dopo che il nome del figlio è spuntato nella graduatoria degli idonei di un concorso. Santilli è accusato dal Pd di aver «confuso la pianta organica con l’asse ereditario» e di rifugiarsi dietro il formalismo giuridico: «Tutto lecito, tutto permesso». Una difesa che per Di Marco equivale a una resa politica: «Se l’unica linea è “non è reato”, allora abbiamo un problema gigantesco, perché governare non significa abitare le zone grigie del codice, ma garantire trasparenza».
Il paragone storico è spietato. «Ma c'è qualcosa di infinitamente più tragico in questa “Parentopoli” adriatica rispetto alle grandi abbuffate del passato, e guai a scambiare questa constatazione per nostalgia. Negli anni Ottanta, quando la “Pescara da bere” del vecchio Pentapartito truccava le carte per le famigerate 61 assunzioni, commetteva un crimine, sì, ma un crimine “sociale”. Il vecchio ras della prima repubblica, cinico quanto si vuole, abusava per distribuire. Lottizzava per creare clientele, certo, ma quelle clientele erano fatte di poveri diavoli, di invalidi (veri o finti poco importa), di gente comune», sottolinea Di Marco.
«Era un welfare inquinato, un patto scellerato tra il Palazzo e la folla, ma era pur sempre politica, per quanto deviata». Oggi, invece, «siamo alla degenerazione feudale: le istituzioni non servono più a costruire consenso, ma a sistemare la dinastia». Il salto è netto: «Dal clientelismo, malattia della democrazia, al familismo amorale, che ne è la negazione assoluta». Da qui la provocazione feroce: «Regolarizziamo i parenti nello Statuto», per evitare «l’ipocrisia dei concorsi anonimi e delle commissioni bendate». E la chiusura che pesa come un macigno: «Un tempo il potere aveva bisogno di distrarre per sopravvivere ai propri vizi. Oggi non prova più nemmeno vergogna».
Un allarme che trova eco nelle parole di Emanuele Castigliego, segretario dei Giovani democratici Nuova Pescara. «Questa vicenda non può essere archiviata con il silenzio o la minimizzazione», scrive, «perché riguarda il funzionamento dei concorsi pubblici e il rapporto tra istituzioni, legalità e fiducia dei cittadini. In particolare, quando si parla di Pescara, è indispensabile evitare personalizzazioni e narrazioni salvifiche: perché dobbiamo evitare di erigere una statua a “San Pettinari”, mentre il tema vero resta il rispetto delle regole e la credibilità delle procedure pubbliche». Da qui la richiesta di una convocazione urgente della Commissione di vigilanza, anche a porte chiuse, «per fare chiarezza e ristabilire trasparenza».
«Come giovani sentiamo con forza il dovere di ribadire che le istituzioni non possono essere trattate come cosa propria. Chiedere trasparenza non è un atto di ostilità, ma un esercizio di responsabilità civica. L’amministrazione della cosa pubblica deve tornare ad avere un senso reale, fondato su regole chiare, imparzialità e merito. Le istituzioni devono rimanere il luogo in cui si garantiscono pari opportunità, legalità e rispetto verso una comunità che chiede sicurezza, servizi e serietà. Almeno per le assunzioni facciamo valere la coppia diritto/giustezza e valutazione di opportunità, altrimenti ritroveremo gli stracci al posto delle istituzioni e della reciprocità del senso del dovere della cittadinanza».
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