Conti, l’ultima intervista sul disastro del Morrone 

Il generale assicurava: «Rimboschimento inutile, la natura guarirà le ferite del fuoco entro due anni»

SULMONA. Ecco l’ultima intervista a Guido Conti rilasciata il 23 settembre scorso al Centro qualche giorno prima di una conferenza a Sulmona al quale avrebbe partecipato per affrontare il tema del rimboschimento.

«Non è necessario il rimboschimento. La natura ci penserà da sola e già tra un paio di anni si inizieranno a vedere risultati». È il sulmonese Guido Conti, generale di brigata dei carabinieri, attualmente comandante regionale carabinieri forestali dell’Umbria, che interviene nel dibattito scaturito dopo il rogo sul Morrone. «Il Morrone, come tutte le montagne della valle di Ovidio e dell’Abruzzo interno non è sempre stato come lo vediamo oggi», spiega Conti. «Dal 1600 ad inizio 1900 le foreste abruzzesi erano state pressoché distrutte da una doppia esigenza della popolazione: la fame di legna da ardere e di pascoli. Solo a inizio ‘900 con un lavoro che dura circa 80 anni fino al 1976, il Morrone, come tanti altri siti in Abruzzo, viene interessato da una grandiosa ed efficiente opera di rimboschimento prima ad opera del Real corpo forestale, poi milizia, poi Corpo forestale dello stato». Tanto lavoro distrutto dagli incendi. «I gravi danni arrecati sono evidentissimi. E non riparabili in breve o brevissimo periodo. Ma ho eccellenti speranze per il futuro», prosegue Conti.
«Quando un incendio interessa una superficie coperta da un rimboschimento di conifere molto vecchio e con piante anche stramature, si realizzano, tra tanto disastro, due positività: il fuoco mineralizza la lettiera acida degli aghi di pino, e innalza il ph del terreno verso la neutralità; cioè, con la scomparsa dei pini vetusti e la conseguente possibile filtrazione della luce solare fa sì che una vera esplosione di semi, soprattutto di latifoglie, si verifichi negli anni a seguire. Cosa che non sarebbe stata possibile se fosse rimasto il suolo acido e la copertura fitta di conifere antecedente l’incendio».
Secondo Conti, quindi, nulla è perduto. «La pineta ha adempiuto al suo compito: riformare un suolo dove c’era roccia», incalza Conti, che sulla silvicultura e sulle tecniche forestali ha scritto diversi volumi. «E grazie a ciò e al lavoro dei forestali si possono trovare esempi ovunque si getti lo sguardo», prosegue l’ufficiale. «Monte Plaia a Introdacqua, ad esempio: bruciò quasi del tutto l’antica pineta 23 anni fa. Già dopo due anni era tutta una esplosione di roverella grazie a quel terreno ricostituito e mineralizzato dal fuoco. Ora, osservando la montagna, non si direbbe che vi è passato l’incendio. Nelle Gole di Popoli, solo 9 anni fa, verso Bussi, il bosco fu incenerito. Dopo pochi anni è una esplosione verdissima. Sul Morrone non vi è alcun bisogno di rimboschire. Anzi, si danneggerebbero col calpestio le piantine che germineranno. Non tutti ricordano che circa 34 anni fa in località Vellaneto un incendio da fulmine distrusse molti ettari di pineta. L’anno successivo era verdeggiante di giovanissime piantine di quercia. Ciò grazie unicamente al lavoro silenzioso che anni prima hanno compiuto i forestali, che seppero riportare vita ove c’era solo roccia. E a madre natura. Che sa guarire le proprie ferite. Basta darle il tempo e le stagioni necessarie».
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