Da Pescara in giro per il mondo, l’intervista a Stefano Granchelli: «Viaggio per sentirmi libero, cerco la fortuna in Australia ma mi manca il cibo italiano»

7 Ottobre 2025

Stefano Granchelli, 24 anni, è in cammino zaino in spalla per i Paesi dell’Asia, tre mesi fa ha lasciato lavoro e famiglia per inseguire la sua felicità all’estero

PESCARA. Mentre risponde alla telefonata del Centro, Stefano Granchelli è in Uzbekistan. Non ha una scheda sim, si appoggia alla rete wifi offerta dai posti in cui soggiorna e tra le steppe e gli altopiani desertici la linea salta più di una volta. «Ma è meglio così», dice, «perché senza internet guardo davvero i posti che visito, conosco le persone, imparo a starmene senza distrazioni». Pescarese, 24 anni. Tre mesi fa ha lasciato il suo lavoro, gli amici, la famiglia ed è partito alla volta dell’Albania, quindi Grecia, Turchia e poi l’Asia continentale con in testa l’Australia dove sogna di iniziare una vita nuova.

Stefano, dove si trova?

«A Khiva, nella regione del Khorezm. Uzbekistan».

Non sembra la fine del mondo.

«Lo è eccome! Starò qui un mese».

Come passerà il tempo?

«Girando per le città più importanti, zaino in spalla. Tra poco ho un treno per Bukara. E il 29 mi sposto, alla volta dell’India».

Vedrà il Taj Mahal?

«Certo, ma ho qualche timore…»

Quale?

«Le condizioni igieniche».

Rimpiangerà l’Italia, vedrà.

«Neanche per sogno».

Ce l’ha a morte con il Paese?

«Ero stanco della mia vita, a Pescara. Ma il problema, sì, è tutto italiano».

Cosa faceva a Pescara?

«Lavoravo come disegnatore di quadri elettrici, l’ho fatto per sei anni».

Ma il lavoro era precario.

«No, avevo un contratto a tempo indeterminato».

Cosa?!

«Lo so, è strano. Ma davvero, non ero felice».

Adesso lo è?

«Mai stato meglio».

Allora mi dica cosa le mancava.

«La libertà. In Italia, con la mia famiglia, ce l’avevo. Ma questo viaggio, le sensazioni che mi dà… è diverso».

A proposito, la sua famiglia che dice?

«Mio padre non era molto convinto, fino all’ultimo pensava che fosse una fantasia che avrei abortito».

Sua madre?

«Disperata, c’è rimasta malissimo. Pensi che ogni tanto mi chiama e mi dice: “Dai, torna a casa”».

E non le viene voglia di prendere un volo per l’Italia?

«No, davvero. Questo viaggio significa troppe cose, per me».

Ma non è che è uno di quelli a cui mamma e papà però pagano il viaggio?

«Scherza? Lavorando sono anni che metto i soldi da parte».

Quindi è da tempo che pensava di partire.

«No, sono solo taccagno (ride, ndr). Avevo conservato una bella somma, ma il viaggio è tutto in economia».

Cosa si mette nello zaino per un viaggio che durerà otto mesi?

«Il minimo, perché non pesi: un paio di vestiti, qualcosa per l’inverno, qualche medicina, un beauty-case per l’igiene».

E un ricordo di famiglia non se l’è portato?

«Mia madre, prima di partire, mi ha messo in mano delle vecchie foto. Ma io non le ho prese».

Lei vuole fare il cinico. Ma mi dica qualcosa che le manca dell’Italia.

«Il cibo. I paesaggi».

La lingua?

«Finché mi sono mosso in Europa – in Albania, in Grecia – è stato semplice orientarmi, l’inglese lo parlano un po’ tutti. In Asia è tutto diverso».

E come parla?

«Ah, questa è bella: a gesti, perlopiù».

Una macchietta italiana.

«No, anche gli altri comunicano così. Perché da queste parti, dove sono adesso, l’inglese lo parlano in pochi. Le racconto un episodio buffo».

Prego.

«Stavo camminando in una cittadina in Armenia, ho visto un gruppo di persone che preparava una grigliata e ho fatto un cenno con la mano per salutare».

E loro?

«Hanno risposto con un altro cenno, per dire di avvicinarmi. Alla fine mi sono unito a loro: abbiamo mangiato, bevuto, ballato, riso. Ma davvero, senza capire mezza parola».

Sembra un Paese cordiale.

«Beh, per la mia esperienza finora sono stati tutti molto ospitali. Alcuni un po’ troppo…».

Per esempio?

«In un ostello turco, un ragazzo della Giordania voleva a tutti i costi che visitassi il suo Paese. Gli ho detto che sarei andato, un giorno. Invece lui voleva portarmi in quel momento, stava prenotando un volo per due».

Ha fatto colpo.

«Ho dovuto, con una scusa, dirgli di aspettare per organizzarci meglio. Poi quella notte, prima dell’alba, sono scappato via dall’ostello mentre dormiva».

Come un amante. A proposito, a gesti si riesce anche a flirtare?

«Difficilissimo, ma stimolante. Diciamo che finché ci si muove in Europa, siamo ancora sul classico. In Asia e nei paesi musulmani devi reinventarti, banalmente perché non puoi dire a una ragazza di uscire a bere».

E che si fa?

«Si va a fare una passeggiata, oppure al parco».

E non le viene il latte alle ginocchia?

«Macché, è bellissimo. Guardi, girando il mondo la cosa più bella è imparare cose nuove».

E lei cosa ha imparato?

«Che è bello starsene un po’ da soli, per i fatti propri. Ricordo che appena arrivato in Albania, quando il mio viaggio è iniziato, non sopportavo la solitudine».

E adesso?

«La adoro».

Il cellulare lo guarda?

«Solo per tenermi informato, qualche volta».

Sa che ci sono un paio di guerre qua e là, nel mondo?

«Sì, ovviamente. Ma è più interessante vedere gli umori delle persone che incontro».

Cioè?

«Per esempio, in Georgia ce l’hanno a morte con i Russi. Lì la questione dell’invasione è molto sentita. Ma mi pare che ci sia un attaccamento meno morboso alle notizie. Questa è stata una scoperta piacevole».

E scoperte negative, invece?

«Mi hanno spaventato le macchine in Georgia, in Armenia. Sfrecciano a velocità folli, tutte vecchie e… strane».

Strane?

«Ne becchi di ogni tipo: con tutte le spie accese, senza parafanghi, senza revisione. Addirittura senza sedili».

Meglio andare a piedi.

«Quando posso, sì. Ma le salite in montagna possono essere un incubo, alcuni giorni sono stati orrendi per la troppa fatica».

In quei casi, ha mai pensato di mollare tutto?

«No, mai. In un momento di difficoltà, un signore polacco mi ha detto: “Ogni tanto si ha bisogno di una vacanza dalla vacanza”. Non male (ride, ndr)».

Cioè?

«Ogni tanto mi coccolo. Spendo qualcosa di più e vado in hotel, con servizi migliori».

Dopo l’India?

«Thailandia, Cambogia, Vietnam. Poi in Australia».

E lì?

«C’è una città che mi piace molto, Brisbane. Non è la più famosa, ma è quella più vicina al mio gusto. Quindi andrò lì, mi cercherò un lavoro».

Sembra avere le idee molto chiare.

«In realtà è tutto in divenire».

Allora ipotizziamo che lei, dopo tanti mesi, arriva in Australia e scopre che non è come se la immaginava…

«Può darsi, è un rischio».

Cosa fa? Torna in Italia?

«No, ma in Europa sì. Per il lavoro non è il massimo, ma il cibo è buono».

A proposito, costa sta mangiando in questi giorni?

«Il plov, un piatto tipico. Molto conviviale».

Meglio di una pizza?

«È molto ricco, si fa con riso, uvetta, carne, ceci».

La cosa peggiore che ha mangiato?

«In Turchia, il kebab».

In India cosa mangerà?

«Non lo so, non ci voglio pensare. So che il cibo da quelle parti non è un granché, mi spaventa. Ma voglio scoprirlo, glielo racconterò».

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