«Dai cervi solo danni, ogni anno 35mila euro»
L’agricoltore Calcagni si sfoga: distruggono la mia azienda
CASTELVECCHIO SUBEQUO. Nonno Santino Calcagni e poi papà Giovanni hanno portato avanti con fatica la società agricola che porta il nome di famiglia a Castelvecchio Subequo sognando di poter produrre olio di girasole made in Abruzzo. Ora tocca ad Ora Alessandro, 31 anni, laureato in Economia, amministrazione e finanza, che ha unito alle loro aspettative l'entusiasmo dei giovani e i principi del marketing appresi negli studi.
Il suo obiettivo era di portare avanti la tradizione di famiglia e di espandersi verso nuovi mercati. Ma si è scontrato contro i 35mila euro di danni che ogni anno subisce la sua azienda a causa dei cervi. Ed è stato costretto a cambiare rotta.
Quando ha inizio la storia della vostra azienda?
Nasciamo negli anni '50 nel cuore della Valle Subequana, con mio nonno, storico cerealicoltore di grano duro. La società agricola Calcagni è stata poi portata avanti da mio padre che ha iniziato a lavorare anche i girasoli e poi è passata a me.
Purtroppo, nel corso del tempo, a causa degli attacchi continui prima dei cinghiali e subito dopo dei cervi, abbiamo dovuto cambiare tipologia di coltura e puntare su quelle meno redditizie nella speranza che potessero essere meno appetibili per gli animali, ma così non è stato.
Quando avete iniziato a "subire" queste visite indesiderate?
Dal 1999 al 2006, con i cinghiali che devastavano tutto. All’epoca, solo qualche volta, si vedevano i cervi, ma erano ancora pochi. Dal 2010 c'è stata un proliferare di questi animali selvatici e di conseguenza un'invasione nei nostri campi. Sono presenti giorno e notte e attaccano tutto. Abbiamo anche consultato Sandro Lovari, che fa parte dell'Unione mondiale della conservazione della fauna, il quale ci ha spiegato che già nel 2010 c'erano 14 cervi ogni chilometro quadrato. Oggi, secondo me, sono almeno il doppio e gli effetti li paghiamo tutti noi.
Come è cambiato il vostro lavoro?
La nostra azienda è di 130 ettari coltivati, impossibili da recintare. Siamo passati dal grano duro al farro che è meno produttivo e meno richiesto dal mercato. E dai girasoli al foraggio che non vuole nessuno perché chi ha le aziende se lo coltiva da solo. Considerate che abbiamo centinaia di balloni invenduti e ogni anno ne produciamo di meno perché non ne vale la pena. Purtroppo anche quelli vengono attaccati dai cervi, quando sono belli e pronti. I ceci e altri legumi simili li abbiamo dovuti escludere dalle nostre colture perché attirano i cervi e quindi sarebbe stato del tutto controproducente iniziarli a coltivare.
In che modo i cervi distruggono le colture?
Arrivano nei campi e mangiano tutto quello che trovano. Sia di giorno sia di notte. Spesso li vediamo brucare i campi appena seminati, altre volte troviamo le loro orme, sono esemplari giganti. Ci è capitato addirittura di non trovare più i balloni di foraggio ma solo gli spaghi che li tenevano. Noi pensavamo che puntando sulle colture meno redditizie ci potevano salvarci, ma non è andata così.
Quale era il vostro primo progetto?
Volevamo produrre olio di girasole. Mio padre si stava già muovendo per poter iniziare a lavorare alla trasformazione dei nostri girasoli in olio, ma non è stato possibile. Il girasole viene attaccato fin da quando comincia a crescere. Abbiamo avuto l'impedimento di far crescere nell'arco di meno di 20 anni il nostro business proprio a causa dei cervi. Con l'utilizzo del web e con la crescente domanda che c'è stata per esempio durante il Covid di olio di girasole avremmo potuto lavorare molto, ma non l'abbiamo potuto fare perché le colture venivano distrutte giorno per giorno. Lì dove c'era un tempo una grande coltura di girasoli ora c'è solo del foraggio.
A quanto ammontano i danni subiti?
Fino a qualche anno fa era colpito il 70 - l'80% delle colture. Ora siamo arrivati al 100%. Quest'anno abbiamo subito dai conti della Regione 27mila euro di danni, più 7/8 euro dai conteggi del Parco. Abbiamo un mancato risarcimento di centinaia e centinaia di migliaia di euro: da 15 anni a questa parte non abbiamo ricevuto nulla. Prima la Regione pagava per acconti, adesso non più.
Qual è secondo lei la strada da percorrere?
Purtroppo ci si deve rendere conto che se non si procede scientificamente alla caccia di selezione del cervo ben presto a pagarne le spese sarà l'intera fauna perché ne sta danneggiando la riproduzione. I dati scientifici parlano chiaro. Basti pensare che quando il cervo non riesce a brucare le colture, perché magari sono state appena seminate, va a contendersi il cibo con il camoscio. Le femmine di camoscio sono costrette ormai a ritardare le stagioni del parto. E da qui al 2050 anche il camoscio, a causa dei cervi, vedrà la sua popolazione ridotta dell'80%.
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