Di Properzio: il porto sta per chiudere

Fondali di 3 metri, l’imprenditore (foto): cassintegrazione e merci dirottate verso Ortona
PESCARA. «I dipendenti dell'impresa portuale sono in cassaintegrazione, il traffico commerciale si sta spostando su Ortona e i pescatori rischiano la vita». E' la nuova veste del porto senza il dragaggio, un'infrastruttura su cui spesso si concentra l'attenzione per il rilancio della città ma che inizia a svuotarsi, ad andare «verso la chiusura».
A pensarla così è Sabatino Di Properzio, 47 anni, operatore commerciale che trasporta prodotti petroliferi ma le cui navi, con i fondali bassi, arrivano in porto con un terzo della merce. L'imprenditore, in questi mesi di tavoli e di false partenze del dragaggio, parla di operazioni che si trascinano da anni e di una bolla che potrebbe scoppiare e portare il porto alla chiusura. E, intanto, venerdì, pescatori e operatori, minacciano di ritrovarsi insieme sull'Asse attrezzato per bloccarlo a oltranza.
Di Properzio, si può navigare nel porto?
«Non in sicurezza, perché i fondali sono talmente bassi che non è consentita la regolare navigazione. Il problema è che una nave non è una macchina, non ha la precisione della rotta e, oggi, nel porto occorre una navigabilità larga. Ci sono canali all'interno dei fanghi che permettono di muoversi con margini di manovra, mentre in alcune zone non c'è il fondale. I pescherecci più grandi non riescono a entrare nel porto canale e quelli che riescono a entrare non possono raggiungere le colonnine dell'acqua e della corrente e devono rifornirsi facendosi trasportare la corrente».
Che profondità hanno raggiunto i fondali?
«Nella darsena commerciale, si va da un minimo di 50 centimetri a un massimo di 5 metri. Nel porto canale, da un minimo di 30 centimetri a 3 metri».
Come si naviga con questi fondali?
«Si naviga solo con l'esperienza e, quindi, correndo grandi rischi. Nel mio caso, invece, navi che prima trasportavano 7 mila tonnellate di prodotti petroliferi oggi ne trasportano un terzo».
Perché proprio adesso è esplosa quest'emergenza?
«L'insabbiamento è avvenuto gradualmente. Ma negli ultimi anni non si è dragato: i 2 mila metri cubi di oggi dovevano essere escavati un anno e mezzo fa. Già allora c'era l'emergenza che non è stata affrontata».
Negli anni precedenti come è stato affrontato il dragaggio?
«Il problema è che il porto non ha mai avuto un piano di manutenzione programmata, si è sempre lavorato in emergenza: il dragaggio è stato sempre fatto nel momento in cui scattava l'allerta insabbiamento. Negli anni precedenti, però, c'era una normativa ambientale diversa: alcuni fanghi potevano essere scaricati in mare e altri messi nella vasca che, oggi, non può più essere utilizzata».
Tra il porto in condizioni normali e quello di oggi, cosa è cambiato per lei e la marineria?
«La merce sfusa non può più arrivare in porto, non c'è più traffico commerciale. Tubi, serbatoi, sansa non arrivano più a Pescara perché non è più conveniente e, quindi, le navi attraccano a Ortona. L'impresa portuale che si dedica alla movimentazione delle merci è chiusa. Le agenzie doganali sono in enorme difficoltà. Noi, arriviamo con le navi con un terzo del carico e siamo a un livello di costo paragonabile al trasporto via terra. I pescatori rischiano la vita perché non hanno uno spazio di manovra largo, si muovono in un canale di 3 metri pieno di secche. Inoltre, hanno difficoltà nell'ormeggio e ad accedere ai servizi basilari. Anche alcuni pescherecci sono già andati a Ortona».
Con l'escavazione dei 2 mila metri cubi di fanghi, il porto è tornato alla normalità?
«No, non è cambiato nulla, il problema è rimasto immutato».
Che ripercussioni ha sull'economia la parziale inagibilità del porto?
«I cassaintegrati dell'impresa portuale, i tanti licenziamenti delle agenzie doganali e marittime che si stanno spostando a Ortona. La mia azienda è su questa strada, sta andando verso la chiusura. Ma anche il traffico passeggeri è a repentaglio: il catamarano non potrà partire, proprio a 30 anni dalla prima apparizione a Medjugorje».
Il porto potrebbe chiudere?
«Sì. Senza un intervento drastico, la parte commerciale sarà esclusa e resisteranno solo i piccoli pescherecci». (cr.pe.)
A pensarla così è Sabatino Di Properzio, 47 anni, operatore commerciale che trasporta prodotti petroliferi ma le cui navi, con i fondali bassi, arrivano in porto con un terzo della merce. L'imprenditore, in questi mesi di tavoli e di false partenze del dragaggio, parla di operazioni che si trascinano da anni e di una bolla che potrebbe scoppiare e portare il porto alla chiusura. E, intanto, venerdì, pescatori e operatori, minacciano di ritrovarsi insieme sull'Asse attrezzato per bloccarlo a oltranza.
Di Properzio, si può navigare nel porto?
«Non in sicurezza, perché i fondali sono talmente bassi che non è consentita la regolare navigazione. Il problema è che una nave non è una macchina, non ha la precisione della rotta e, oggi, nel porto occorre una navigabilità larga. Ci sono canali all'interno dei fanghi che permettono di muoversi con margini di manovra, mentre in alcune zone non c'è il fondale. I pescherecci più grandi non riescono a entrare nel porto canale e quelli che riescono a entrare non possono raggiungere le colonnine dell'acqua e della corrente e devono rifornirsi facendosi trasportare la corrente».
Che profondità hanno raggiunto i fondali?
«Nella darsena commerciale, si va da un minimo di 50 centimetri a un massimo di 5 metri. Nel porto canale, da un minimo di 30 centimetri a 3 metri».
Come si naviga con questi fondali?
«Si naviga solo con l'esperienza e, quindi, correndo grandi rischi. Nel mio caso, invece, navi che prima trasportavano 7 mila tonnellate di prodotti petroliferi oggi ne trasportano un terzo».
Perché proprio adesso è esplosa quest'emergenza?
«L'insabbiamento è avvenuto gradualmente. Ma negli ultimi anni non si è dragato: i 2 mila metri cubi di oggi dovevano essere escavati un anno e mezzo fa. Già allora c'era l'emergenza che non è stata affrontata».
Negli anni precedenti come è stato affrontato il dragaggio?
«Il problema è che il porto non ha mai avuto un piano di manutenzione programmata, si è sempre lavorato in emergenza: il dragaggio è stato sempre fatto nel momento in cui scattava l'allerta insabbiamento. Negli anni precedenti, però, c'era una normativa ambientale diversa: alcuni fanghi potevano essere scaricati in mare e altri messi nella vasca che, oggi, non può più essere utilizzata».
Tra il porto in condizioni normali e quello di oggi, cosa è cambiato per lei e la marineria?
«La merce sfusa non può più arrivare in porto, non c'è più traffico commerciale. Tubi, serbatoi, sansa non arrivano più a Pescara perché non è più conveniente e, quindi, le navi attraccano a Ortona. L'impresa portuale che si dedica alla movimentazione delle merci è chiusa. Le agenzie doganali sono in enorme difficoltà. Noi, arriviamo con le navi con un terzo del carico e siamo a un livello di costo paragonabile al trasporto via terra. I pescatori rischiano la vita perché non hanno uno spazio di manovra largo, si muovono in un canale di 3 metri pieno di secche. Inoltre, hanno difficoltà nell'ormeggio e ad accedere ai servizi basilari. Anche alcuni pescherecci sono già andati a Ortona».
Con l'escavazione dei 2 mila metri cubi di fanghi, il porto è tornato alla normalità?
«No, non è cambiato nulla, il problema è rimasto immutato».
Che ripercussioni ha sull'economia la parziale inagibilità del porto?
«I cassaintegrati dell'impresa portuale, i tanti licenziamenti delle agenzie doganali e marittime che si stanno spostando a Ortona. La mia azienda è su questa strada, sta andando verso la chiusura. Ma anche il traffico passeggeri è a repentaglio: il catamarano non potrà partire, proprio a 30 anni dalla prima apparizione a Medjugorje».
Il porto potrebbe chiudere?
«Sì. Senza un intervento drastico, la parte commerciale sarà esclusa e resisteranno solo i piccoli pescherecci». (cr.pe.)
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