Di Santo, mezzo Fregoli e mezzo Robin Hood

Un po’ Fregoli e un po’ Robin Hood, Roberto Di Santo, l’impiantista di Roccamontepiano che si credeva l’ultimo dei profeti e si era messo in testa di cambiare il mondo appiccando incendi e piazzando ordigni «contro questo vecchio sistema, in difesa di chi soffre, cercando di non sfiorare nessuno». Uno che in carcere ci era stato già dieci anni fa, e ne era diventato il bibliotecario per quanto gli piaceva leggere di religione e psicologia. Un autodidatta che a 58 anni, con la semplice licenza elementare, nel suo sito parla dei Maya e cita Einstein, Tolomeo e i vangeli mentre illustra i suoi tre libri, «L’innominabile», «2012 e la legge universale» e, appunto «L’ultimo profeta».
«Se cercavano uno squilibrato non l’hanno trovato» dice ora il suo legale, l’avvocato Alfredo Di Pietro che esclude, come invece ipotizza il comandante dei carabinieri, che Di Santo abbia bisogno di una perizia psichiatrica: «I suoi sono concetti utopici che lo possono far passare per uno squilibrato, mentre è una persona molto lucida, certamente fuori dalle righe, con doti straordinarie». Uno che a Roccamontepiano, il suo paese di origine, si era inventato il brevetto che nella zona usano ancora tutti gli spazzacamini per pulire le canne fumarie. Un artigiano pieno di inventiva, in grado di realizzare impianti idraulici e al tempo stesso camini artistici, che sa costruire fontane e decorare pareti. Un generoso, che ieri pomeriggio, mentre aspettava in caserma di essere portato in carcere si è offerto per aggiustare alcuni tubi rotti, come aveva fatto gratuitamente a casa di un amico il giorno prima del rogo a Villanova. Un istrionico, Roberto Di Santo, che aveva fatto anche teatro in una compagnia imparando a usare i trucchi con cui poi ha saputo camuffarsi nei dieci giorni della sua latitanza. Un trasformista, una mente brillante, che leggeva Focus e guardava i programmi scientifici sui canali satellitari e che ieri, in carcere, si è portato un libro sulla religione.
È tutto questo «il bombarolo» che fino alla scorsa estate ha infarcito il suo blog di videomessaggi deliranti su concetti reali, come le «regole sociali sbagliate», «i tagli e la crisi che distruggeranno completamente molti come me». Figlio di emigranti tornati dalla Svizzera a Chieti venti anni fa, quando lui era già rientrato, separato e padre, fino al 2000 aveva avuto una piccola impresa per la ristrutturazione di immobili che aveva dovuto chiudere. È subito dopo che viene arrestato per bancarotta fraudolenta, ricettazione e armi clandestine.
Nel 2003 si fa sedici mesi di carcere, a Torino, ma è lì che gli si apre il nuovo mondo. Inizia a studiare e si butta sui saggi di sociologia e astronomia, sui vangeli, il Corano e la psicologia. Studia e intanto coltiva la sua rabbia per «l’ingiustizia sociale» che ha seppellito la «democrazia popolare». Intanto cerca di lavorare, ma farsi pagare è sempre più difficile. Legge, scrive, s’inventa perfino un simbolo, quelle tre dita centrali in alto che usa ogni volta che registra un videomessaggio e che in questi giorni ha alzato dopo ogni azione. Nel suo immaginario quelle tre dita rappresentano il popolo indebolito che, grazie alla tecnologia (il pollice e il mignolo sovrapposti) riacquisterà il potere. Ma a colpi di bombe non si può fare.
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