Donatella, l'ultimo appello del padre: centomila euro a chi ritrova mia figlia

26 Luglio 2011

 PESCARA. «L'unico regalo che vorrei oggi è una ciocca di capelli di mia figlia: non mi interessa trovare il colpevole, ma solo dare una sepoltura alla mia unica figlia».  E' la notte tra il 26 e il 27 luglio di 15 anni fa quando Donatella Grosso, all'epoca 30enne residente in via Monte Velino a Francavilla, viene vista per l'ultima volta salire sull'auto dell'ex fidanzato e prendere la direzione per la stazione centrale di Pescara. Di Donatella, da quel momento, non si saprà più nulla: il corpo non si trova, tre inchieste vengono archiviate, mentre statuario il papà Mario Grosso non si perde d'animo e, dopo 15 anni, rinnova il suo appello disperato: «Per una prova, un indizio, offro una ricompensa di 100 mila euro». VERSO L'ARCHIVIAZIONE. Rimbalzata tra le procure di Chieti e Pescara, l'inchiesta sta per arenarsi ancora: i termini concessi per una nuova proroga alle indagini condotte in questi anni con grande caparbietà dalla squadra Mobile sono scaduti. Ma neanche stavolta, com'era già accaduto in passato, il mistero di Donatella riuscirà a trovare una luce: il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini ha riascoltato tutti i testimoni ma, probabilmente, sarà costretta a guidare l'inchiesta verso l'archiviazione per un procedimento in cui, tra alti e bassi, tra tracce poi rivelatesi inutili, a mancare è l'anello decisivo: il corpo della giovane. Un altro sbarramento, il secondo a Pescara, che si andrebbe ad aggiungere ai due della procura di Chieti, nelle cui mani finì per la prima volta il fascicolo. «Allontanamento volontario», sentenziò la magistratura teatina mentre in seguito i colleghi di Pescara, che pure inserirono nel registro degli indagati l'ex fidanzato di Donatella, non riuscirono poi a trovare elementi consistenti per sostenere l'accusa di omicidio. Ma nell'inchiesta, l'unico indagato resta sempre l'ex fidanzato di Donatella.  «Non voglio più sapere cosa sia successo», continua a ripetere il professor Grosso che, insieme alla moglie Tina Melita, non perde la fiducia nella magistratura - «il fascicolo è in mani serie», dice - e adesso, a 15 anni dalla scomparsa, aspetta solo «un unico regalo, un segno di mia figlia». IL MISTERO. Donatella Grosso è una giovane di 30 anni laureata in Lingue all'università D'Annunzio quando la notte tra il 26 e il 27 luglio 1996 sparisce per sempre da Francavilla. Sul tavolo di casa lascia alcune lettere ma il 30 luglio, ai suoi genitori, viene recapitata dal postino un'altra lettera, imbucata da corso Vittorio Emanuele a Pescara il 27 luglio, il giorno dopo la scomparsa. Donatella scrive che è partita per l'estero per andare a lavorare in un grande albergo. Dice che ci resterà solo due mesi, ma non torna più. L'8 agosto del 1996, il fidanzato, di 10 anni più giovane di lei, interrogato dalla polizia, afferma di aver visto per l'ultima volta Donatella il pomeriggio del 26 luglio. Ma dopo 11 giorni cambia versione e dice di averla accompagnata alla stazione di Pescara la stessa sera della scomparsa e di non sapere dove si recasse. Nove anni dopo, nel 2005, l'ex fidanzato viene indagato dalla procura di Pescara per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Ma la matassa non si dipana. Intanto, la trasmissione di Raitre «Chi l'ha visto» inizia a occuparsi della scomparsa della ragazza.  La procura di Pescara dispone l'incidente probatorio, un confronto tra il Dna dell'ex fidanzato e quello sul francobollo della lettera spedita da Pescara dopo la scomparsa di Donatella. Il confronto viene disposto dal gip Maria Michela Di Fine e viene affidato ai Ris di Roma, ma spazza via il collegamento con l'ex fidanzato. LA PROVA DEL DNA. L'uomo si sottopone alla prova del Dna che, però, stabilisce che non sono sue le impronte digitali né la saliva sul francobollo della lettera spedita il 27 luglio 1996.  Il fascicolo, nel frattempo, ha cambiato magistrato ed è passato nelle mani dell'attuale procuratore aggiunto Tedeschini che acquisisce la testimonianza di una donna, una vicina di casa della studentessa, secondo cui Donatella sarebbe stata picchiata dall'ex fidanzato prima della scomparsa.  Riascolta tutti i testimoni e ordina anche accertamenti sulla casa dell'ex findanzato. Tutto inutile. 15 ANNI DI ATTESA. Né la prova del Dna né lo scorrere del tempo tolgono però le forze a Mario Grosso e alla moglie Tina, assistiti dall'avvocato Vincenzo Di Girolamo, che offrono ricompense, facendo lievitare ogni volta il prezzo, lanciano appelli, tappezzano Francavilla e Pescara di manifesti con il volto di quell'unica figlia e non perdono le speranze. Oltre un anno fa, furono i genitori a definire «anomala» quell'ultima lettera scritta dalla 30enne romana: «Donatella è stata costretta a scriverla». La calligrafia era sua, ma il messaggio era spiccio, non rispecchiava le altre missive che la giovane aveva inviato ai genitori, pagine e pagine colme di affetto. «Questa è invece una comunicazione da telegramma, come redatta da una mano frettolosa che non ha tempo per dilungarsi», disse il papà. LE OSSA. Intanto, il 1º febbraio 2009, una nuova pista riapre il giallo. In un quartiere di quattro case coloniche a Borgo Santa Maria di Pineto, viene trovato per caso uno scheletro di donna. E' domenica quando in un podere del quartiere Reille, uno dei due fratelli Fernando e Valentino Pavone urta con la pala qualcosa di solido mentre scava per costruire un muretto di cinta. La pala fa un rumore sordo, ma Pavone continua a scavare e scopre lo scheletro sepolto a testa in giù. Le ossa sono a 40 centimetri di profondità: sono lo scheletro di una donna, alta un metro e sessanta, sui 40-50 anni.  Il reperto arriva a Boston, nelle mani del più importante laboratorio di datazione delle ossa. Si apre un'inchiesta a Teramo sul tavolo del pubblico ministero Davide Rosati in cui viene ipotizzato, inizialmente, il reato di occultamento di cadavere. Non ci sono indagati né compare la parola omicidio.  Ma quelle ossa rappresentano una nuova traccia nel giallo di Donatella, una speranza che si arena poco dopo perché i reperti rivelano un delitto che risale a trent'anni prima. L'unica certezza che ha il pm è che lo scheletro non appartiene a Donatella: non si ricorre neanche alla prova del Dna, ma al confronto tra l'arcata dentaria del teschio di Borgo Santa Maria e gli indizi forniti dalla Mobile di Pescara che indaga sull'altro mistero. IL NUOVO APPELLO. «Qualcuno mi dica dove si trova il corpo di mia figlia. Anche in maniera anonima, ma parli». Affranto dal dolore, il papà di Donatella lancia un anno fa ancora il suo accorato appello assicurando una ricompensa a chi sia in grado di fornire indicazioni decisive. E' quello che fa anche oggi nella speranza di poter dare una sepoltura a «quell'unica figlia per cui avevamo dato la vita», dice. Il papà, insieme alla moglie Tina, è da 15 anni alla ricerca della pista giusta fin da quando la procura di Chieti, per due volte, ha archiviato la scomparsa di sua figlia come semplice allontanamento volontario. E' stato lui a raccogliere e a mettere insieme i primi brandelli per una soluzione alla quale però continua a mancare quel corpo. Grosso, con la tenacia di un padre trascinato dalla ferrea volontà di rendere giustizia alla figlia, ha scoperto nuove testimonianze poi non andate a buon fine.  «Mi basterebbe anche una ciocca. Donatella: la mia unica figlia a cui avevamo comprato un appartamento e per cui io e mia moglie abbiamo girato tra Pescara, Chieti, L'Aquila, restando però avvolti nella nebbia». «Non voglio più sapere se c'è un colpevole, mi interessa solo riavere le ossa di mia figlia. Se poi c'è un colpevole, se ne ricorderanno nell'aldilà».

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