Ex primario fa una strage lascia la lettera e si uccide

Carlo Vicentini spara con la sua pistola alla moglie e ai due figli, poi si toglie la vita Di recente era stato al poligono di tiro. Corpi trovati 36 ore dopo da una nipote
L’AQUILA. Si è nascosta sotto al letto per scampare alla furia omicida, ma il padre l’ha trovata lo stesso. Alessandra aveva 36 anni, lavorava in ospedale anche lei, tanti sogni, svaniti come la sua vita. Sua madre Carla, 69 anni, ha tentato di fuggire dopo il primo colpo che l’aveva ferita. Si è chiusa in bagno, ma il marito non intendeva risparmiarla: le ha sparato un altro proiettile che l’ha raggiunta al volto. Massimo, 42 anni, non poteva invece scappare: disabile, viveva grazie a un respiratore esterno, il padre lo ha ucciso mentre si trovava sul letto. Quattro vite spezzate, una famiglia sterminata. Perché Carlo Vicentini, alla fine, la pistola l’ha rivolta anche contro sé stesso. Forse subito dopo, forse l’indomani.
Si è consumata così la tragedia di Tempera, scoperta ieri nella villetta all’inizio della frazione a Est dell’Aquila, in quella stradina di ghiaia che porta il nome di un altro Vicentini, Ignazio Nicolò. Per gli inquirenti, al momento, non ci sono dubbi: si tratta di un omicidio-suicidio e l’artefice è l’ex primario di Urologia a Teramo e professore all’Università dell’Aquila, da gennaio in pensione. Si era ritirato anche per stare vicino al figlio malato, che di recente si era aggravato. Vicentini era professionista stimato, persona conosciutissima, l’intero Abruzzo è rimasto sconvolto dal suo gesto. Aveva 70 anni. Cacciatore, la pistola a tamburo a sette colpi la deteneva regolarmente.
Ha lasciato una lettera. In cui prova a spiegare i motivi della strage inspiegabile. Le parole scritte a mano sono confuse, a tratti farneticanti. Parlano del dolore per le condizioni del figlio e delle difficoltà familiari. Dicono anche che era stanco della società moderna e dello Stato. Ai parenti aveva detto che si sarebbe recato al mare con la famiglia, nella loro casa di Tortoreto. Di recente era stato al poligono di tiro. E aveva affidato i suoi cani da caccia. Elementi che lasciano aperta l’ipotesi di un’azione premeditata, almeno in parte, e riducono le probabilità che alla base del gesto ci sia stato un raptus improvviso o una violenta lite. Anche perché i vicini non si sarebbero accorti di nulla. Tanto che i quattro cadaveri sono stati trovati, secondo la prima ricostruzione degli investigatori, ben 36 ore dopo la strage. Che sarebbe avvenuta durante la notte tra mercoledì e giovedì. Le indagini sono solo all’inizio.
LA STRAGE E LA SCOPERTA
Mercoledì sera la famiglia vicentini aveva avuto amici a cena, secondo il racconto di testimoni. Alle 2 della notte successiva, l’ultimo accesso su Whatsapp di Alessandra. Per tutta la giornata di giovedì le finestre della villetta sono rimaste chiuse. Mentre il cane – il pastore tedesco Ken – non lasciava mai il terrazzo della villetta: era intrappolato fuori. Nessuno rispondeva al telefono e al citofono. Questo ha insospettito i parenti, vicini di casa dei Vicentini.
Ieri, intorno alle 13.30, una nipote di Carlo Vicentini ha deciso di risolvere il mistero: ha preso il mazzo di chiavi secondarie della casa dei parenti ed è entrata. Lì, la scena raccapricciante. I quattro cadaveri in quattro stanze diverse. Le tracce di sangue nei corridoi. L’urlo. L’allarme.
LE INDAGINI
Sul posto è intervenuta la Squadra mobile della questura diretta da Danilo Di Laura, che ha preso in carico le indagini sull’omicidio-suicidio. In supporto, anche carabinieri e vigili urbani. Ed è poi arrivato il pm di turno, Guido Cocco, che ha aperto un fascicolo di inchiesta. Il medico legale, proveniente da Roma, è arrivato soltanto in serata. Intorno alle 21 i quattro cadaveri sono stati trasferiti all’obitorio dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Poi sono cominciate le strazianti operazioni di riconoscimento da parte dei parenti e degli amici. Nelle prossime ore saranno eseguite le autopsie per accertare quanto accaduto.
La villetta di Tempera è stata posta sotto sequestro. Si attendono le analisi sulle tracce di sangue e le impronte ritrovate in tutta casa. Anche per capire in quale ordine Carlo Vicentini ha ucciso i suoi familiari. Sotto sequestro anche telefoni e computer. Per capire, appunto, se l’uomo si è tolto la vita subito o ha vigilato sui loro corpi.
Testimoni, infatti, parlano di messaggi partiti dai suoi account social giovedì mattina, cioè diverse ore dopo l’ultimo collegamento online della figlia. Tutto questo potrebbe servire anche per confermare la premeditazione del gesto. Ricostruendo particolari giudiziari che non cambieranno la sostanza delle cose, visto che gli investigatori al momento escludono ipotesi diverse dall’omicidio-suicidio.
LE LACRIME E GLI ABBRACCI
Poche case, quasi tutte villette abitate da parenti, i vicini si conoscono da sempre: questa è via Vicentini, traversa quasi invisibile della statale 17bis, che fino a pochi anni fa non aveva nemmeno un vero e proprio nome. «Vedevamo spesso Massimo lungo la strada con la sua carrozzina elettrica, il fedele cane lo seguiva», racconta un vicino, «quando non lavorava, anche Carlo passeggiava lungo la via. Doveva percorrerla per raggiungere i suoi amati cani da caccia che si trovano a monte». E un altro: «Dava l’impressione di essere una famiglia tranquilla e unita. Mai ci saremmo immaginati un gesto del genere. È una tragedia».
Dopo l’arrivo della polizia, ai vicini si è aggiunta anche una folla, radunatasi intorno alla villetta sul richiamo del tam tam e della vista dei mezzi delle forze dell’ordine parcheggiata lungo la strada statale.
Le lacrime, gli abbracci, il vociare. Il tentativo di cercare una spiegazione a una tragedia che, in fondo, spiegabile non è. Dentro al cancello della villetta, chiuso dal nastro piazzato dagli inquirenti, gli agenti raccoglievano le prime testimonianze. Un uomo, parente stretto della famiglia, era seduto su una sedia. Parlava a fatica, con voce rotta dal dolore. Così come gli altri testimoni. Dall’alto della terrazza, il povero Ken osservava la scena.
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