Chieti

Ferrara a Chieti sulla vicenda Netflix: «Le piattaforme non sono il male»

10 Dicembre 2025

L’attore di Suburra ieri alla d’Annunzio: un orgoglio tornare nella mia terra

CHIETI. Al convegno “Il cinema in Abruzzo” promosso dall’Università d’Annunzio, Sara Serraiocco non c’era: ha mandato un videomessaggio in cui «ringrazia tutti» spiegando di aver avuto «problemi di lavoro» e promettendo di venire presto “di persona”. A tenere la scena è stato così Giacomo Ferrara, attore nato a Chieti cresciuto tra Villamagna e Pretoro e volto di Suburra: «Anche io ho rischiato di non esserci, Roma città eterna soprattutto sulle fregature», scherza, prima di spiegare perché per lui questo invito conta: «Essere qui all’università della mia terra è importante». L’attore noto per il ruolo di Spadino, il giovane rampollo della famiglia sinti degli Anacleti, parte dagli inizi, la malattia della recitazione iniziata a otto anni per intrattenere i clienti dell’hotel dei genitori sulla Majelletta, la testardaggine abruzzese di inseguire un sogno, un liceo a Chieti gestito dalle Orsoline dove «si poteva fare teoria del cinema, dizione e teatro», e una famiglia che non lo ha mai frenato: «Mia mamma mi diceva “fai quello che vuoi”. Sul palco mi sentivo al posto giusto».

Poi i primi di provini andati male: «Ho ricevuto una serie di no ad inizio carriera. Avevano ragione loro, non ero fatto per quel tipo di scuole». Lo spartiacque è Suburra. Prima il no perché cercavano “solo romani”, poi la svolta: un provino di due ore e un quarto con regista e produttrice, poi un’altra lunga chiamata di Stefano Sollima («molto attento ai dettagli e esigente nei confronti degli attori») e l’ingresso definitivo nel cast. «Nel film erano sei pose, un ruolo piccolo, ma qualcosa ha lasciato un’impronta che si è riverberata nella serie».

Per costruire Spadino entra nelle case dei sinti, lavora con il suo acting coach, trova idee non previste in sceneggiatura: «Il ballo non c’era, piacque molto. Ero titubante davanti a Placido, poi è andata alla grande». Ora, in Suburra eterna, sente che «il personaggio cambia: toglie il sorriso da Joker, diventa più diretto, concreto, umano».

Resta però un paradosso: «Mi capita spesso che mi diano il cattivo, il criminale, il drogato. Io che non bevo, non fumo, ho una relazione stabile e una figlia. Ma va bene così: i cattivi ti fanno guardare ogni lato dell’umano». Oggi è lui a dire molti no a proposte di lavoro: «Non so se faccio bene, ma voglio solo progetti che mi fanno tremare le gambe». Per esempio lavorare con la regista abruzzese Maria Tilli in Animali randagi, girato anche in università: «Raccontare un personaggio abruzzese, la provincia, i sogni infranti». Con lei il set è stato «una settimana stupenda», tra improvvisazioni e discussioni creative: «Maria è meravigliosa, ti lascia libertà e poi se ne parla». Ferrara non giudica mai i suoi personaggi: «Empatizzo, capisco il dolore e lo interpreto senza giudizio». Sulla Film Commission abruzzese e come può aiutare il cinema: «Può fare molto di più per tutti: attori, sceneggiatori, maestranze. Qui tanti sono costretti a lasciare terra e famiglia per lavorare a Roma». Il cinema, ricorda, genera economia: hotel, ristoranti, occupazione. Infine risponde al Centro sulle ultime vicende Netflix, Warner Bros e il rapporto cinema/streaming: «Molti film si sono potuti fare grazie allo streaming. Ma il pacchetto Netflix ti obbliga a uscire prima in sala e questo ha aiutato il cinema. Dal canto mio continuo ad andare in sala, anche da solo, mi immergo, ho i sensi più aperti». Poi chiude: «I genitori educhino alla scelta tra sala e streaming. Io voglio solo fare arte, raccontare storie. Mi sento piccolo rispetto a ciò che accade». Poi l’ultima battuta, rivolta alla platea: «Gli ultimi film su D’Annunzio li hanno fatti tutti all’estero. Vogliamo raccontarlo qui in Abruzzo? Basta farlo in Friuli».

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