Gli operatori del porto «Da due anni senza soldi»
Il mancato dragaggio manda sul lastrico 100 lavoratori del settore commerciale Fatturato crollato e cassa integrazione scaduta. A fine mese altri licenziamenti
PESCARA. Paragonano il mancato dragaggio del porto a «un terremoto che ha scosso la città dalle fondamenta» e le condizioni in cui da due anni sono precipitati i dipendenti del settore commerciale a «tante morti bianche: nello spirito, nella qualità della vita e nella mortificazione stessa dell’esistenza». Il crollo del fatturato delle venti aziende che un tempo rimpolpavano l’indotto dello scalo cittadino ha buttato sul lastrico cento persone tra piloti, ormeggiatori, rimorchiatori, spedizionieri, addetti alla dogana, alla sicurezza e ai servizi antincendio e antinquinamento, operatori commerciali e turistici. Senza contare la numerosa rete formata da albergatori, ristoratori, tassisti e parcheggiatori. Impossibile quantificare la cifra esatta dei danni causati da un insabbiamento avanzato anno dopo anno. Giuseppe Ranalli, responsabile dell’azienda Archibugi Ranalli e presidente della sezione trasporti della Confindustria di Chieti, non ha dubbi: «È sicuramente una cifra a sei zeri».
«Siamo la categoria più penalizzata da questo disastro», si lascia andare l’imprenditore, provando a mettersi nei panni dei suoi dipendenti, «siamo fermi da due anni e nessuno ci ha mai dato un centesimo. Condividiamo con i pescatori lo stesso scalo, ma per noi non esistono aiuti statali e la cassa integrazione è scaduta dal 31 dicembre». I lavoratori dell’indotto commerciale non sono mai scesi in piazza per urlare la loro rabbia ai politici e ai rappresentanti delle istituzioni. Hanno elaborato in silenzio il lutto della chiusura del porto, conservando il pudore per la perdita del posto di lavoro. «Non gridiamo perché non ne abbiamo la forza», ammette a denti stretti Ranalli, «quello che ci è successo è paragonabile a un terremoto, ma nessuno ne parla. Ogni giorno viviamo nel limbo, illudendoci che accada qualcosa che ci faccia uscire da questo stallo. Ma, puntualmente, ogni nostra speranza viene infranta. Sono cinque anni che il porto commerciale non viene scavato e intanto Pescara perde, una dopo l’altra, tutte le occasioni di rilancio».
L’ultima certezza è stata infranta pochi giorni fa con la comunicazione ufficiale che il dragaggio della darsena (100mila metri cubi di sedimenti, pari alla metà dell’intero appalto vinto dalla Sidra) non ci sarà prima della fine della stagione balneare, quindi a metà settembre se tutto dovesse andare secondo le previsioni. «Abbiamo perso prima la Jadrolinija», rimarca Giuseppe Ranalli, «e poi la Snav che movimentava ogni giorno 120mila passeggeri. Eppure non c’è stata indignazione. Mi chiedo cosa sarebbe successo se l’aeroporto di Pescara avesse rinunciato alla compagnia Ryanair. La città ha perso in pochi anni la sua immagine turistica e nessuno ha detto niente».
In pochi mesi, da quando il collegamento marittimo con la Croazia è venuto meno e la petroliera del gruppo Di Properzio che partiva da Ancona ha alzato bandiera bianca, le aziende commerciali sono state costrette a rivedere i numeri degli organici. Nella medesima condizione della Archibugi Ranalli ci sono la Sanmar (agenzia marittima, impresa portuale e compagnia portuale), Servimar, Del Nunzio, Agenzia doganale, Gesmar, Gruppo piloti e ormeggiatori e le imprese del settore trasporti. Giorgio Tiberio, responsabile della Servimar che si occupava dei servizi antincendio e antinquinamento e dava lavoro a 14 persone, racconta amareggiato che a fine aprile sarà costretto a effettuare dieci licenziamenti. «Ho 14 lavoratori in cassa integrazione», dice, «lavoriamo anche a Ortona, ma il lavoro è diminuito del 50 per cento. I pagamenti sono bloccati e non sappiamo come uscire da questo stallo. Purtroppo sono costretto a mandare a casa dieci dipendenti».
«La batosta più grande», osserva Riccardo Vitiello, responsabile della Gesmar che effettuava il servizio rimorchio, «l’abbiamo avuta in seguito all’interruzione dei traffici da parte dell’Api un anno fa, ma la crisi parte da lontano. Eravamo un’azienda solida, con un fatturato di 600 mila euro all’anno. Avevamo effettuato anche un investimento consistente, 1 milione e mezzo di euro per comprare un rimorchiatore nuovo. Ma tutto è andato in fumo. C’è stato il blocco totale degli affari e abbiamo dovuto licenziare tre persone».
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