«Ho fatto una cosa terribile» 

Francavilla, Fausto Filippone lancia la figlia dal viadotto, chiede perdono e poi si butta

PESCARA. Tre vite spezzate in poche ore. Senza un perché. Sono ancora mille gli interrogativi sulla morte assurda di Marina Angrilli, insegnante pescarese di 51 anni, del marito Fausto Filippone, un dirigente della Brioni di 49 anni, di Chieti, e della loro bimba, Ludovica, di soli 10 anni. La donna è precipitata dal terzo piano di una palazzina di piazza Roccaraso 18, a Chieti Scalo, in circostanze tutte da chiarire. Erano all’incirca le 12 e in quell’appartamento di Chieti Scalo c’era l’intera famiglia, che viveva a Pescara in via Punta Penna. Marina non era sola, quando è volata giù. In casa c’erano anche il marito e la figlia. Ma non è chiaro se si sia trattato di un incidente, di una tragica scelta della donna o, peggio ancora, di un salto nel vuoto provocato dal marito. L’insegnante è morta in ospedale, a Chieti, un paio di ore dopo. Nel frattempo Filippone, senza seguire la moglie in ospedale e senza preoccuparsi delle sue condizioni, ha commesso una follia. È salito in auto con la piccola Ludovica, ha raggiunto il viadotto Alento dell’autostrada A14, ha lasciato il veicolo e ha percorso a piedi un tratto di viadotto, circa 800 metri, con la bimba. È stato allora, attorno alle 13, che la polizia stradale ha cominciato a ricevere segnalazioni sulla preoccupante presenza dei due in autostrada.
Una pattuglia ha raggiunto quel punto del viadotto, alto 39 metri, e individuato padre e figlia. Erano gli ultimi minuti di vita della bimba, che è stata lanciata giù dal viadotto dal padre. Lo avrebbe fatto anche lui in quell’istante, così ha detto. Ma la polizia lo ha fatto desistere. E Filippone, dopo aver scavalcato il guardrail, è rimasto attaccato alla ringhiera dell’autostrada, pronto per lanciarsi nel vuoto e seguire il destino della sua Ludovica. È stato allora che è cominciata una lunga ed estenuante trattativa, andata avanti fino alle 20, di cui si è occupato in prima battuta l’ispettore Vinicio Leoni, del distaccamento di Pescara Nord. Poi hanno parlato a lungo con Filippone Silvia Conti, dirigente della polizia stradale di Pescara, e Alessio D’Alfonso, un negoziatore dei carabinieri. Poco distante la sorella del 49enne. Tra l’uomo e i rappresentanti delle forze dell’ordine che si sono avvicinati a lui c’era solo un metro e mezzo di distanza, lo spazio di un’auto della polizia. E tanta tensione. Intanto il traffico continuava a scorrere sull’altra carreggiata, e sono stati molti coloro che hanno invitato l’uomo a farla finita, ad uccidersi. Il traffico ha subìto molti rallentamenti e ci sono stati anche due tamponamenti, nella zona dove si trovava Filippone, fino a quando il traffico è stato bloccato.
Dovevano convincerlo a mettere da parte il suo atroce progetto di morte, a scavalcare di nuovo il guardrail per tornare alla vita, guardare avanti nonostante l’accaduto, assumendosi le sue responsabilità, con dignità e coraggio. Ma lui aveva deciso. Doveva solo trovare la spinta per sganciare le mani e lasciarsi andare. Durante quelle ore ha urlato più volte, tanto che la sua voce disperata è arrivata fin sotto il guardrail, a decine di metri di distanza, dove giaceva immobile il corpo della piccola Ludovica e dove – non molto distante – si sono radunati tanti curiosi, oltre a polizia (c’era anche il questore di Chieti Raffaele Palumbo), carabinieri, polizia municipale di Francavilla, con il sindaco Antonio Luciani, vigili del fuoco e 118. È arrivato perfino l’elicottero del 118 di Pescara per soccorrere la bambina, ma l’atterraggio non è stato permesso. Nessuno, infatti, si è potuto avvicinare a lei: il padre non voleva assolutamente e minacciava di lanciarsi nel vuoto se qualcuno l’avesse toccata. Riteneva che fosse lui l’unico a poter stare con la bimba. Se la polizia non l’avesse fermato in tempo, diceva dal guardrail, sarebbe volato giù insieme a lei all’ora di pranzo. Durante il pomeriggio si è informato su Ludovica, ha chiesto delle sue condizioni di salute. Ed è stato inutile dirgli che probabilmente l’avrebbero ancora potuta salvare. Poteva essere un modo per farlo tornare in sé, ma non è stato sufficiente. Ha assicurato di non essere «una persona cattiva» e ha accennato al disagio che viveva ormai da un anno e mezzo, parlando in maniera poco lucida. Poi si è scusato per ciò che ha fatto, ha chiesto «perdono» e detto di non avere più «dignità», avendo fatto una «cosa terribile» anche se non è riuscito a darsi e a fornire una spiegazione, né ha ricostruito le ore precedenti all’arrivo in autostrada, sulle quali sta indagando la squadra mobile di Chieti, diretta da Miriam D’Anastasio (il pm è Lucia Campo).
Poi, nel tardo pomeriggio, ha scelto la strada del silenzio. Non ha parlato più. Era stremato, oltre che stanco fisicamente. E pochi minuti prima delle 20 si è lasciato cadere dal viadotto. Nel vuoto. A nulla è servito il telo steso dai vigili per salvarlo. E il suo giorno di follia è finito esattamente come aveva immaginato. Solo allora è stato recuperato il corpo di Ludovica, esaminato sul posto dal medico legale Cristian D’Ovidio. E ora si cerca la verità. Si scava nella vita della coppia. Si cerca di capire perché.
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