I vicini: grida, botte e poi silenzio

26 Settembre 2011

Il racconto dei testimoni: "Nel palazzo cinque minuti di terrore"

MANOPPELLO. «Stavo guardando il secondo tempo di Catania-Juventus con mio figlio quando abbiamo sentito delle grida: "Aiuto, aiuto, aiutatemi". Abbiamo sentito anche dei rumori assordanti: roba che cade per terra e si rompe e passi pesanti di chi vuole scappare. Così, io e mio figlio siamo saliti al secondo piano, ho bussato alla porta, una, due, tre volte, ma i rumori erano finiti già e nessuno ci ha aperto».

Santino Di Fazio, pensionato residente al primo piano del palazzo di via Campania 4 a Manoppello Scalo, ripercorre i momenti di una tragedia senza spiegazione che, intorno alle 16,30 di ieri, si è consumata in un pugno di minuti.

«Prima di bussare alla porta di casa di Fernando Di Nunzio e Maria Teresa Di Giamberardino», racconta Di Fazio, «ho provato a chiamare mio fratello Claudio che abita allo stesso piano, proprio di fronte, perché non riuscivamo a capire da dove provenissero quei rumori forti». «Abbiamo sentito urla e frastuono ma non capivamo da dove venissero», dice anche la moglie di Di Fazio, Maria Rita Mancini, «forse, da sopra, da sotto o anche da fuori». «Mio fratello Claudio», prosegue il pensionato, «ha aperto la porta e mi ha detto che non era stato lui a fare tutto quel fracasso: quei rumori, che intanto non si sentivano più, venivano proprio dalla casa dei Di Nunzio. Così, io prima e mio figlio Jacopo dopo, abbiamo bussato alla porta, un portone blindato che non si può buttare giù con una spallata. Una, due, tre volte, ma nessuno ci rispondeva: un silenzio irreale rispetto alle grida di prima».

«Ho chiamato i carabinieri», prosegue il racconto di Di Fazio, «e gli ho detto di correre in via Campania 4 perché era successo, sicuramente, qualcosa di brutto. I carabinieri sono arrivati subito, uno mi ha chiesto se i Di Nunzio avessero in casa un fucile e io ho risposto che a me non mi risultava ma non potevo averne la certezza, comunque, non avevo sentito degli spari. I carabinieri hanno bussato alla porta e si sono presentati gridando "carabinieri". E Valentino ha aperto subito».

Quando la porta si è spalancata, i carabinieri dal pianerottolo con il pavimento marrone, lo zerbino di gomma e moquette e un vaso con i fiori dipinti per riporre sei ombrelli, si sono trovati subito davanti il corpo della donna steso a terra con la gola tagliata e altre quattro coltellate sferrate all'addome: Di Giamberardino ha provato a scappare mentre veniva uccisa dal figlio ed è morta a un metro dalla porta. «I carabinieri hanno fatto mettere Valentino in ginocchio e lo hanno portato via», dice Di Fazio, «quel ragazzo aveva i vestiti sporchi di sangue. L'ho visto camminare per le scale con la testa bassa: a noi Valentino non ha detto niente. Pensare che Valentino, un ragazzone tranquillo, ha la stessa età di mia figlia, 27 anni, e sono andati alla scuola elementare insieme: mai avremmo potuto immaginare una tragedia così. Proviamo tanto dolore e io mi sento ancora male: ci dispiace per una bella famiglia che, adesso, è distrutta. Ci dispiace per tutti». Per chi è morto, per chi è in carcere e per chi resta e non ha pace.

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