IL CAGNOLINO RISE. OMAGGIO AD ARTURO BANDINI
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IL WEB CONTEST Tutti i quindici racconti in finale
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La notte ci portò a Melrose Ave. vicino gli studi Paramount. Il posto ci era stato consigliato dal buttafuori del locale cubano al quale si accedeva passando attraverso un armadio. Non ci fidavamo, ma non avevamo alternative. Non erano molti i posti a Est Hollywood che potevano soddisfare la nostra fame di vita. Eppure il Pour Vous, una volta entrati, ci accoglieva a "gambe aperte": Il bancone del bar, in noce scuro, scivolava elegante verso la sala degli spettacoli, dove ogni elemento, i lampadari, le poltroncine in pelle, le pareti decorate, ci riportavano agli anni '20, nella Los Angeles elegante, scabrosa e insensata di Arturo Bandini. Il mio compare, al centro della sala, ammirava a naso in su la gabbia degli spettacoli appesa al soffitto, rapito dalla lussuria che quell'allestimento evocava. Io cercai subito di conquistare il rispetto del barista, che nonostante mi avesse visto, prese a servire una tipa che sguaiatamente mi urtava al gomito. - Scusa - mi disse, e nel voltarmi per farle un cenno di perdono vidi… vidi la più bella donna che avessi mai visto in tutta L. A.
Era una di quelle bellezze del tipo olandese. Gambe lunghissime e affusolate, la carnagione chiara, capelli biondoprussia, il nasino dritto e incastonato in un viso delicato ma con i lineamenti netti, chiari, decisi. Però la cosa più sconvolgente era il suo sguardo. Sembrava una ragazza equilibrata, sensibile e forte allo stesso tempo (a L.A. ancor più raro che nel resto del mondo), ed il suo sguardo era la chiara espressione di chi, consapevole della propria bellezza, vive questa condizione con disagio, quasi con imbarazzo. In un locale pieno di ragazze sexy, lei cercava di far passare inosservata la sua superioritˆ estetica. Senza accorgermene, mi trovai subito dall'altro lato del bancone, e le chiesi quale agenzia la rappresentasse. "Non sono un'attrice né una modella", disse ridendo, ed io compresi che era una domanda da coglione. Cercai di recuperare dicendole che io davo per scontato che una così bella lavorasse nel corrotto mondo dello spettacolo. Di male in peggio.
Ordinò da bere e, dopo un feroce silenzio, mi disse candidamente "Sono una maestra. Insegno matematica e scienze alle elementari". Era fatta. Lei mi voleva.
Io la volevo. "Mi chiamo Maxine", aggiunse. Ci si misi un po' a capire il suo nome, non tanto per la musica in sottofondo, ma perché le mie funzioni cerebrali erano completamente assorbite dalla contemplazione di quell'angelo.
D'un tratto la sua amica provò ad introdursi ma io la scaraventai contro il mio compare, e, onde evitare spiacevoli rischi ed incomprensioni, spiegai loro che Maxine era chiaramente la donna della mia vita e che mai, avrei permesso loro di distogliermi da lei. Uscii in cortile con Maxine per fumare una sigaretta. Me ne chiese una. "Ma mi hai appena detto che non fumi" "Si, ma adesso ho bisogno di cominciare a fumare". Mi abbracciò, e restammo così per un po'.
Poi mi disse che doveva andar via. Le infilai in borsa uno scontrino dei grandi magazzini sul quale scarabocchiai ogni mio recapito. "A domani", mi baciò e si allontanò sorridendomi.
Decisi di fumarne un'altra in cortile. La brezza del deserto arrivava da Est evocando il mistero di grandi amori come Arturo Bandini e Camilla Lopez... d'un tratto una decappottabile rossa sgommò via dal parcheggio del club, con al volante un tipo pseudo hipster ed al suo fianco... Maxine!
Dovevo avere proprio una faccia da stronzo in quel momento, perché persino un cagnolino, sporgendosi della borsetta in cui era trasportato, mi guardò e... rise.