IL CHIODI DI LOTTA E IL CHIODI DI GOVERNO

La domanda sorge spontanea: che ci fa Gianni Chiodi in mezzo ai falchi di Forza Italia? Il presidente della Regione Abruzzo sembra lontano mille miglia dalle Pitonesse e dalle Mussolini che sembrano diventate le ambasciatrici più credibili dei rinati Azzurri di Silvio Berlusconi. Il suo modo di ragionare, di esprimersi, persino di vestire, poco c’azzecca con le truppe incattivite del Cavaliere. Eppure mercoledì Chiodi era in via del Plebiscito con tanto di bandierone tricolore in mezzo alla folla che gridava «traditori, traditori» a chi se n’è andato con Angelino Alfano. Transfughi tra i quali, sia detto per inciso, figurano personaggi che fino a ieri erano considerati vicinissimi al governatore, come l’ex assessore alla Sanità, Lanfranco Venturoni, il deputato teramano Paolo Tancredi e lo stesso ministro Gaetano Quagliariello, che ormai sembrava il punto di riferimento assoluto del centrodestra in Abruzzo.

Perché, dunque, questa scelta? Senza nulla togliere alle ragioni ideali di Chiodi, l’impressione è che abbiano giocato non poco le imminenti scadenze elettorali. A maggio il presidente sottoporrà al giudizio degli abruzzesi cinque anni e mezzo di governo della Regione, un’esperienza nata sulle ceneri della giunta Del Turco e passata attraverso la terribile esperienza del terremoto dell’Aquila. Con quali fiori all’occhiello? Soprattutto lo sbandierato risanamento dei conti della sanità, che avrebbero trasformato l’ex regione canaglia in un esempio virtuoso per l’Italia intera. Tema importante, certo, ma piuttosto complicato da cavalcare anche per l’inevitabile destro offerto agli avversari, che cercheranno di dimostrare che al miglioramento dei conti coincide il brusco peggioramento della qualità dell’assistenza e delle cure.

Serve qualcosa di più. Per vincere le elezioni, l’ex sindaco di Teramo deve parlare alla pancia degli elettori ed evitare di essere catalogato come un freddo tecnocrate che parla solo di bilanci da far quadrare. E non c’è dubbio che per centrare questo obiettivo le truppe azzurre sono molto più attrezzate dei transfughi alfaniani, che dovranno sudare sette camicie per dimostrare che si sbaglia chi prevede per loro una misera fine politica. Tutto fa prevedere che all’assennato Chiodi di governo che abbiamo visto in questi anni, subentrerà ora un Chiodi di lotta, pronto a smarcarsi dalle difficoltà cui andrà inevitabilmente incontro il governo Letta. Insomma, un candidato in grado di intercettare sia il voto di protesta sia, a livello locale, il voto di chi pensa che questi cinque anni non siano stati spesi male. A smontare il giocattolo, proveranno un uomo del centrosinistra, presumibilmente Luciano D’Alfonso, e un grillino ancora tutto da identificare. Ne vedremo delle belle. Per ora, buona domenica.

©RIPRODUZIONE RISERVATA