L'ospedale San Massimo di Penne

PENNE

«Il Covid ha ucciso mio padre e mia zia, siate prudenti» 

Luca Falconetti, consigliere comunale: «Ricoverato anche io, dico grazie a medici e infermieri» 

PENNE. La perdita di un padre è un dolore assai difficile da spiegare a parole. Basta uno sguardo, però, per capire come la ferita sia ancora sanguinante e maledettamente dolorosa. Luca Falconetti (nella foto), 33enne capogruppo del Movimento 5 Stelle nel consiglio comunale di Penne, ha vissuto da vicino il dramma dell’emergenza Covid19 perdendo prima il padre e poi sua zia. Anche lui è stato ricoverato e ha dovuto faticare per sconfiggere il coronavirus.

Falconetti, com’è stato vivere il Covid-19 così da vicino?
«Purtroppo questo virus ha colpito duramente la mia famiglia, più di quanto avremmo mai immaginato. Ho perso mio padre di 68 anni e mia zia di 66, l’unica sorella di madre, a due giorni di distanza. Io stesso sono stato ricoverato per 10 giorni, dopo altri 10 giorni di febbre ininterrotta, debolezza, inappetenza, nausea e tosse. Quando si cominciò a parlare di questo coronavirus si diceva che fosse poco più di un’influenza. Non c’è nulla di più sbagliato. È un nemico invisibile, subdolo e che scatena reazioni fisiche non prevedibili. Inoltre ci sono numerose implicazioni che spesso vengono sottovalutate: chi viene infettato deve isolarsi da tutti, a casa o peggio in ospedale, e questo implica che anche in una terribile situazione di lutto come quella che sto vivendo si è completamente soli. C’è la vicinanza digitale, ma non poter ricevere un abbraccio o una carezza dopo aver perso una zia e un padre è una punizione davvero crudele. Poi c’è l’aspetto del non poter metabolizzare completamente il lutto attraverso un degno funerale».
Come ha vissuto i giorni in ospedale accanto a suo padre?
«Ho avuto la fortuna, o l’ulteriore dolore, di vivere insieme a mio padre gli ultimi tre giorni in cui è stato sveglio poiché dal 30 marzo all’1 aprile siamo stati ricoverati insieme. Da quel giorno, a causa del peggioramento delle sue condizioni, è stato trasferito in Terapia intensiva dove si è addormentato per non svegliarsi più. Mia madre invece, come molti altri familiari delle vittime del Covid-19, ha visto suo marito uscire di casa sulle sue gambe per non farvi mai più ritorno senza la possibilità di riabbracciarlo un’ultima volta».

Che rapporto si instaura con infermieri e personale medico nel reparto Covid?
«Uno dei momenti che più mi ha impressionato di tutta questa esperienza è stato il mio ingresso nel reparto di “Medicina Covid”, che fino a qualche mese fa ospitava la Geriatria del San Massimo. Sono stato accolto da una giovane dottoressa e da un’infermiera, totalmente indistinguibili dal resto del personale. Quel luogo che ben conoscevo, avendo avuto i nonni ricoverati in quel reparto negli anni passati, era diventato qualcos’altro: tutti erano coperti da capo a piedi quasi come i liquidatori di Chernobyl, una situazione che definirei surreale. I pazienti dovevano restare nelle proprie stanze, si poteva uscire solo per raggiungere il bagno laddove non fosse presente in camera. L’unico contatto umano era con il personale medico e sanitario, che ci tengo a ringraziare per quanto stanno facendo, che anche in quelle condizioni ai limiti dell’umano erano sempre disponibili. Hanno fatto di tutto per me, mio padre e per tutti gli altri pazienti. Una menzione particolare voglio dedicarla ai medici del reparto di Terapia intensiva del San Massimo: in poche ore hanno rimesso in piedi un reparto depotenziato da anni e, oltre ad avere l’onere di gestire pazienti così critici, ogni giorno trovavano qualche minuto di tempo per aggiornare me e gli altri familiari sulle condizioni cliniche dei nostri cari ricoverati. Non potrò mai dimenticare la loro umanità e la loro sensibilità, e la prima cosa che farò, quando sarà possibile, sarà quella di ringraziarli di persona per quanto hanno fatto, anche se purtroppo non sono riusciti a salvare mio padre».
Lunedì comincia una prima riapertura, che cosa si sente di dire ai suoi concittadini?
«Mi rendo conto delle difficoltà economiche che sta vivendo il nostro Paese e sono consapevole di quanto il lockdown abbia penalizzato lavoratori e imprese. Per questo virus, purtroppo, non esiste ancora né una cura e né un vaccino, per cui il rischio è ancora altissimo. In questo momento gli ospedali sono in grado di reggere, ma una riapertura affrettata porterebbe il sistema sanitario a non poter far fronte alle richieste di cura. Il mio invito a tutti è quello di essere prudenti, di seguire le indicazioni del Governo e di avere pazienza. Tutti stiamo soffrendo per questa situazione, ma non possiamo permettere che i nostri cari siano morti invano per ragioni puramente economiche. Questa emergenza ha dimostrato in modo palese e concreto che non è possibile, in una Nazione che vuole definirsi civile, tagliare sulla sanità pubblica, per questo mi auguro che a tutti i livelli istituzionali, si inverta la rotta rispetto a quanto fatto negli ultimi 20».
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