PESCARA

Il Pegaso d’oro al libro Nature umane di Marco Balzano

All'Aurum la serata finale della prima edizione dei Premi Flaiano Poesia. Tutti i riconoscimenti e le motivazioni

PESCARA. Si è ufficialmente conclusa la prima edizione dei Premi Flaiano Poesia, nata dall’incontro della presidente dei Premi Flaiano, Carla Tiboni, del giornalista e poeta Fabio Barone e del direttore del Centro di Poesia e altri Linguaggi, Luigi Colagreco, grazie alla partnership con la Fondazione Pescarabruzzo.

La serata di venerdì 23 giugno, condotta dalla giornalista di Rete8 Paola De Simone all’Aurum – La fabbrica delle idee, ha visto contendersi il Pegaso d’oro i libri Nature umane (Giulio Einaudi editore) di Marco Balzano, Madrebianca (Passigli Editori) di Rosalba de Filippis e L’aria è una (Giulio Einaudi editore) di Anna Maria Carpi. Con loro, a essersi già aggiudicata il Pegaso d’oro, June Scialpi, la vincitrice della “Sezione Poesia under 35” con il libro Il Golem. L’interruzione (Fallone Editore).

Lo spoglio dei 29 voti della Giuria popolare – con una scheda bianca, nulla – ha visto salire sul podio e aggiudicarsi il Pegaso d’oro il libro Nature umane (Giulio Einaudi editore) di Marco Balzano. Al secondo posto, con una gara all’ultimo fiato con Balzano, il libro L’aria è una (Giulio Einaudi editore) di Anna Maria Carpi, mentre al terzo posto si è piazzato il libro Madrebianca (Passigli Editori) di Rosalba de Filippis.

Quest’anno hanno concorso settantanove libri, con quarantuno case editrici.

Di seguito le motivazioni della giuria tecnica, presieduta da Roberto Mussapi e composta da Luigi Colagreco, Anna Dolfi, Loretto Rafanelli e Davide Rondoni, su tutti gli autori finalisti: Marco Balzano, Nature umane, Giulio Einaudi editore, 2022. Marco Balzano, già noto come uno dei narratori più interessanti della sua generazione, ha raggiunto, con il suo terzo libro, Nature umane, edito da Einaudi, una piena maturità di poeta. Un poeta che sa unire le cadenze ritmiche che tramano i suoi versi e che danno pacatezza e misura alla sofferenza e al disincanto di cui parla con uno sguardo civile interrogante e maturo. Se le altre esistenze presenti in natura (animali o vegetali che siano) divengono metafora del difficile esistere di ogni forma vivente nel cosmo, le testimonianze che riguardano il tempo e lo spazio (ogni paese, ogni storia), sottolineano la crudeltà del comportamento umano, la vanità della parola, le menzogne della mente. Eppure l’io poeta che si interroga sul senso e la funzione della poesia, raccontando la propria infanzia e il suo stare al mondo in modo consapevole e ‘sereno’, può evocare i riflessi della luna, quanto di imprendibile e positivo offre il circostante e, tramite una figura femminile di riferimento, compitare moderne poesie d’amore. Tensione conoscitiva, interrogativi senza risposta, insieme alla volontà di sradicare il male, fanno sì che questi versi, con la loro inconfondibile intonazione, ci offrano un ritratto tra i più positivi e responsabili della nostra contemporaneità (“se fossi quel tronco sbilenco [...] sarei solo quello che sono / un albero sospeso nel vento”).

Rosalba de Filippis, Madrebianca, Passigli Editori, 2022. Se questo libro di poesia intensa e incisa si limitasse al rapporto con la madre, che ne è tema evidentemente, non lo riterrei particolarmente interessante. Quello che lo rende interessante e anche unico è la relazione con la madre fuori dal sentimentalismo oleografico del tema, che sovrabbonda nella poesia italiana a volte con esiti esorbitanti. Ma prevalentemente da parte di poeti maschi, come da canone italiano. La de Filippis si rivolge alla sua e all’altrui madre, una madre permeante che comprende le grandi madri e anche, pur se mai esplicitamente, Maria: in questi versi di semplice e incisiva bellezza Rosalba de Filippis scrive una lirica epistolare (il genere inventato da Properzio e sviluppato a Ovidio nelle Heroides) con lo spirito con cui Robert Graves scrive alla grande madre, all’anima del mondo. Perfettamente definisce questa poesia Sergio Givone, il filosofo naturalmente consanguineo dei poeti, quando esclude ogni volontà di spiegare, in chiave metafisica, né di trasfigurare la realtà in cui quotidiano e trascendente convivono. Alta poesia, non ingurgitata dal minimalismo della quotidianità, che oggi imperversa, ma capace di cogliere nel quotidiano le incessanti illuminazioni. Poesia di visione senza fanfare, visione nuda e limpida.

Anna Maria Carpi, L’aria è una, Giulio Einaudi editore, 2022. Il tema della morte e la vita dei corpi anima questo libro che è drammatico ma non luttuoso. Non si può sapere se c’è l’Aldilà né se c’è anche Dio. Una sorta di fatale osservazione del mondo, nelle persone, muove questo ritratto della vita che pare a tratti ispirato al magistero di Gottfried Benn, nella volontà di uscire dalla tragedia restando nel dramma. Il poemetto La carne è un altro, è emblematico del libro, e i versi si interrogano sui ricordi di una vita appena finita, un uomo è morto. Elementi eccentrici, come le sepolture dei gatti avuti nella vita non cadono nel farsesco o nel provocatorio, memori, come sembrano, del grande libro di Eliot sui gatti, e sulla loro relazione con il nostro inconscio. Il tono scanzonato consente al poeta Anna Maria Carpi di affrontare con serenità e dolorosa sofferenza il tema della morte, in una prospettiva non nichilista ma teatralmente comicodrammatica.

June Scialpi, Il Golem. L'interruzione, Fallone editore, 2022 La poesia di June Scialpi ci introduce in un mondo in formazione, un magma cretoso da definire, fatto di passaggi fantasiosi, di affannose ricerche interiori, di articolazioni umane sospese. Non a caso la figura che primeggia, già nel titolo del libro, è un Golem, che nell’accezione etimologica significa ‘materia grezza’ o ‘embrione’. Ma il Golem, nella sua configurazione mitica, è anche un gigante di argilla dalla forza dirompente, seppure privo di intelligenza. La figura, tuttavia, percorre i versi del libro, divenendo elemento di creazione, con profondità affettive e slanci umani. Il Golem si fa esso stesso poesia, scrittura organica, in cui è decisivo “potersi non pensare” (p. 92), vita informe che conforta e si fa linguaggio interiore, necessario e vitale, ossimorico e labirintico, interrogativo e pacificante. In questo percorso non c'è solo il vissuto dell’autore, perché il Golem “siamo noi tutti” (p. 91). Noi, materia umana in costruzione e in decomposizione, noi, investiti da uno sguardo di apprensione ma al contempo abbracciati da un sentimento che cura, quando l'entità informe “ci avvolge di carezze / ed è un sentire che circonda / e mai che uno prevalichi / sull’altro, che faccia imperi del parlato” (p. 88). Tutto ciò emerge ancora, nella sua evidenza, quando nella storia della raccolta appare la figura mitica ed eroica di Primo Carnera, grande pugile, vincitore del titolo mondiale, l’uomo ‘più forte del mondo’, 'la montagna che cammina', Golem per eccellenza, compassionevole e vibrante allorché “nella nebbia è una vertigine / il pensiero dello scontro” (p. 77). ll Golem. L'interruzione” di June Scialpi è un libro pienamente riuscito in cui spicca una maturità costruita sulla evidente volontà di porsi “dalla parte del taciuto e dell’emarginato” (p. II – introduzione di A. F. Perozzi) e in cui vi è il tentativo, riuscito, di ‘alterare’ i piani sintattici e ortografici, giungendo a “slittamenti pronominali” (Ibidem), con un uso significante e simbolico della punteggiatura che esclude il punto fermo, quasi a voler evitare la fissità definitiva del dire, predisponendo piuttosto una scia continua di creazione, senza per questo voler recuperare alcuna sostanza sperimentale.