Pescara

Il pescarese Giacomo Passeri detenuto in Egitto. «Dopo due anni abbiamo risentito la sua voce»

23 Giugno 2025

Il 32enne è stato condannato a 25 anni, parla il fratello Marco Antonio: “Lo Stato sembra averlo dimenticato”. Intanto è stata fissata al 9 ottobre la data della Cassazione: «Prima del previsto»

PESCARA. «Risentire la sua voce a distanza di quasi due anni è stato particolarmente emozionante, incredibile. Ringraziamo Federico Novellino, dell’Ambasciata italiana in Egitto, per il supporto. Negli ultimi tempi, tra l’altro, non abbiamo ricevuto più lettere, quindi poter parlare con nostro fratello è stato molto importante. Eravamo io, Andrea e mia madre».

A riferirlo è Marco Antonio Passeri, uno dei fratelli di Luigi Giacomo, 32enne pescarese arrestato al Cairo nell’agosto del 2023 e condannato, sia in primo grado che in Appello, a 25 anni di carcere. Traffico internazionale di sostanze stupefacenti è il reato contestato dalla giustizia egiziana. La famiglia, fin dall’inizio, ha sempre sostenuto che in realtà il giovane aveva con sé solo una modica quantità di marijuana quando è stato fermato dalla polizia. Ora si attende la Cassazione, la cui udienza dovrebbe svolgersi il prossimo 9 ottobre. Una data vicina rispetto a quanto ipotizzato inizialmente.

«Devo ammettere che questa volta il nostro legale si è battuto parecchio per accogliere le nostre richieste. Erano infatti previsti tempi più lunghi, dai due ai quattro anni», precisa Marco Antonio. «Intanto, dopo la telefonata, l’Ambasciata ha organizzato una visita in carcere e pare che abbiano notato una sorta di rinascita in nostro fratello, al quale avrebbe fatto bene risentire la nostra voce». «Siamo riusciti a informare Giacomo sulle ultime novità dell’iter giudiziario», aggiunge. «Nelle ultime settimane non abbiamo ricevuto lettere, anche perché in Egitto ci sono delle feste al momento e nostro fratello è rinchiuso in cella. Nessuno parla con lui, nessuno lo aggiorna sulla sua detenzione. Le visite, da parte dell’Ambasciata, sono state carenti. Finalmente, dopo il colloquio telefonico, sono andati a trovarlo. Lui ora sta bene. Non ha problemi fisici e trovandosi in una cella con altri detenuti europei, le cose vanno sicuramente meglio di quando ha dovuto condividere gli spazi con persone ritenute pericolose. Permangono, però, gravi condizioni igienico-sanitarie». Poi Marco Antonio dice ancora: «Il problema principale riguarda il fatto che Giacomo si sente solo, pensa di essere stato abbandonato dallo Stato italiano. Non capisce perché vi sono altri detenuti non italiani, criminali con condanne molto pesanti, che comunque vengono supportati dal Governo di riferimento del proprio Paese di origine, e invece dall’Italia nessuno tende a lui una mano». E insiste: «Dopotutto ha ragione. Lo Stato sembra aver dimenticato il caso di nostro fratello. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani rilascia dichiarazioni formali solo se interpellato dai rappresentanti istituzionali locali. L’ultima affermazione sul possibile rimpatrio risale a qualche mese fa, quando nel rispondere a una lettera del sindaco di Pescara Carlo Masci, ha precisato che la possibilità di procedere al trasferimento della pena in Italia è subordinata, ai sensi dell’accordo tra il nostro Paese e l’Egitto, al definitivo passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Sinceramente non so cosa pensare, visto che dall’Ambasciata ci hanno detto che le due cose, la fase giudiziaria e il rimpatrio, viaggiano da sole».

Poi, pensando a ciò che potrebbe accadere a ottobre, sottolinea: «Non ho molta fiducia nella giustizia egiziana, visto che l’ultima volta, nonostante i documenti e le dichiarazioni rilasciate a suo favore, per Giacomo la condanna è stata pesante. E non dimentichiamo la violenza subita nei primi mesi di detenzione e le lettere in cui descriveva tutto il suo malessere. Incrociamo le dita».

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