Il popolo delle sedie scende in piazza

«Ridate le panchine a badanti e anziani»

PESCARA. Sedie imbottite da vecchio salotto, impagliate con la seduta rotta, di plastica da giardino, sgabelli di legno e lettini da spiaggia. In piazza Sacro Cuore, in un sabato primaverile, la gente torna a sedersi dove può, con quello che si è portato da casa: in crocchio, a semicerchio, in fila, per contestare la decisione della giunta di Luigi Albore Mascia di rimuovere le panchine per allontanare i senzatetto e gli ubriachi che avevano trasformato l’area dei giardinetti nella loro casa, sotto gli occhi della consigliera comunale della DcA Adele Caroli, che qui ha il suo ufficio.

«Ma il problema non è affatto risolto: le persone costrette a spostarsi si sono semplicemente sistemate altrove, in piazza Santa Caterina e in piazza Primo Maggio » dice Giovanni Di Iacovo, consigliere comunale della Sinistra, promotore dell’iniziativa «Una sedia per la civiltà ». «Questa operazione è stata fatta per liberare la vista a una consigliera, ma la stessa situazione è ora sotto gli occhi di altre persone che hanno meno peso». Non bisogna andare troppo lontano, per vedere dove bivaccano adesso i «barboni» cacciati dalla piazza coi loro quattro stracci e i cartoni di vino: sono sotto la banca, all’incrocio con corso Vittorio Emanuele, più in vista di prima e ugualmente disperati, mentre gli anziani fanno a turno per riposarsi e sedersi sulle panchine rimaste.

«Sono qui per solidarietà verso queste immigrate che vengono in Italia per assistere i nostri vecchi» dice Luigi Leone dalla sua sedia di plastica bianca. «Io ho 83 anni: da 6 vive con me una signora ucraina che ha assistito prima mia moglie, e ora me: come avrei fatto senza? Questa amministrazione non conosce la solidarietà: D’Alfonso ha costruito, Mascia demolisce ». A 79 anni, Giuseppe Petti scende in piazza dai Colli ogni giorno: «Leggo il giornale, vedo gli amici. Quei poveracci non facevano niente. È una scusa, quella del barbone».

Valentina Morkova in Ucraina era dirigente del movimento in un aeroporto, poi i problemi economici l’hanno costretta a emigrare. Parla con un gruppo di amiche, in piedi: «Sono arrabbiata, le panchine le rivogliamo: perché il Comune non aggiusta piuttosto i marciapiedi rotti in viale Bovio o pulisce il parco Sabucchi?». Alice ha 26 anni, studia Medicina. Ha caricato in macchina una sedia arancione mezza sghemba e si è presentata in piazza: «Ho visto l’appello su Facebook. Però è sbagliato che i partiti si approprino di questa iniziativa ».

Le sedie, infatti, si sono raccolte per una coincidenza attorno alle bandiere del Pd dei Giovani democratici, che avevano prenotato lo spazio per la loro campagna sugli spazi per la cultura e il tempo libero. Ma la rivolta delle panchine ha cambiato il quadro, e il Partito democratico, in appoggio a Di Iacovo, è presente con consiglieri comunali e vertici di partito, compreso il segretario regionale Silvio Paolucci: «Ma si può discutere di politiche per Pescara parlando di panchine? » si chiede.

Pochi minuti prima delle cinque, il sindaco attraversa la strada e si avvicina a stringere la mano agli avversari politici, primo fra tutti a Di Iacovo: «È cosa giusta e condivisibile fare una manifestazione civile» dice, «non c’è alcuna soddisfazione da parte nostra per la decisione, ma quando si amministra la cosa peggiore è non decidere. Chi vive e lavora qui ha accolto l’iniziativa con favore, e stamattina c’erano folle di bambini che, dopo anni, sono tornati a dare da mangiare ai piccioni, come facevo io da piccolo.

Certo, tutte le decisioni possono essere modificate ». Lo dice per rassicurare Antonio Cicalini che per protestare si è mosso da Chieti, indossando una t-shirt dove ha incollato due foto di emigranti: in alto gli italiani d’inizio secolo, in basso gli stranieri di oggi. «È per ricordare chi si è sacrificato per noi allora come ora fanno gli stranieri». Rimprovera il sindaco Mario, 66 anni: «D’estate mi sedevo all’ombra: ora per quattro mbriachi devo stare in piedi. Mandate via loro, non noi». «Bisognava fare più controlli, non togliere » dice Laura Di Iorio, studentessa.

«Venerdì scorso eravamo qui in gruppo a mangiare una pizza, ed era tutto tranquillo. Nessuno ci ha infastidito». Paolo Mantini, 19 anni, è partito con sedia e amici da Montesilvano: «È una iniziativa discriminatoria. Ed è solo un modo di nascondere il problema, non di risolverlo». Non lontano c’è Antonio Di Teodoro, «monarchico di sinistra »: «Da bambino venivo qui con mio nonno, ci sedevamo sulle panchine, per me è un luogo della memoria: ma se ci tolgono i luoghi della memoria, ci tolgono anche la memoria».

Osserva dopo di lui Luca Barbero: «È un modo molto violento di far fronte a questi problemi». A parlare con il popolo delle sedie è scesa anche Adele Caroli: «Parlate con loro, i residenti, i negozianti» fa. Pierfrancesco Ammirati, commerciante, è esasperato, come Pietro Ferrante, che qui vive: «Noi avevamo chiesto solo che pulissero tutti i giorni, e nessuno l’ha mai fatto. Adesso forse questo è il modo sbagliato: ma almeno qualcosa è stato fatto.

E non ci vengano a dire che è stato tolto il diritto a sedersi, perché non c’era neppure prima: chi poteva sedersi là?». Ma il sistema, osserva Lea Del Greco, consigliere di circoscrizione dell’IdV, non serve: «È vero che due anni fa fu il centrosinistra a togliere le panchine in piazza Muzii: ma abbiamo visto che non ha funzionato, e ora senzatetto e sbandati sono sempre lì. In piedi, o per terra».