Il processo Ciclone parte con un rinvio

Prima udienza bloccata da notifiche sbagliate, ecco i cinquanta testimoni di Cantagallo

MONTESILVANO. Nuovo rinvio, al prossimo 27 aprile, per il processo Ciclone. Quattro anni e tre mesi sono passati dall'arresto dell'ex sindaco Enzo Cantagallo ma il dibattimento non è cominciato a causa di due notifiche sbagliate. Attesa per l'elenco dei testimoni.

Cinquanta nomi e cognomi eccellenti: nella lista dei testimoni per il processo Ciclone presentata dall'ex sindaco Enzo Cantagallo spiccano il procuratore capo di Chieti Pietro Mennini, l'ex questore di Pescara Bruno Dante Consiglio e l'ex prefetto di Pescara Giuliano Lalli. Figure d'impatto chiamate a deporre con un obiettivo: delegittimare l'inchiesta Ciclone, la prima deflagrata in Abruzzo su politica e corruzione tre settimane dopo lo scandalo Fira. Ma la passerella di oggi in tribunale sarà rinviata: i 35 imputati e le otto società coinvolte, con un elenco di testimoni voluminoso come un faldone, sono impigliati nella trappola delle notifiche sbagliate.

I 50 TESTI DI CANTAGALLO
Così dopo il rinvio dell'udienza di oggi, un'altra certezza è il lungo elenco di testimoni presentato dalla difesa dell'ex sindaco Cantagallo, arrestato il 15 novembre 2006 con l'accusa di aver preso tangenti per favorire gli appalti pubblici a ditte amiche. Ora l'elenco dei testimoni sarà vagliato dal collegio del tribunale composto dal presidente Camillo Romandini e dai giudici Stefania Ursoleo e Massimo De Cesare.

LA TESI DEL «COMPLOTTO»
Con le testimonianze di Mennini, Consiglio e Lalli, la difesa di Cantagallo proverà a ribaltare la tesi dell'accusa sostenuta dal pm Gennaro Varone. E come? Dimostrando l'esistenza di un «accanimento» e di un «complotto» contro l'ex sindaco, eletto nel 2004 con il 69,5 per cento dei voti. La difesa di Cantagallo punta così a screditare l'operato degli investigatori.

MASCI, RUSSO E ASSEGNI
Una manovra che coinvolge altri due testimoni: l'assessore regionale Carlo Masci e il presidente della Gtm Michele Russo. Con Masci e Russo, la difesa dell'ex sindaco vuole riportare alla ribalta un caso già uscito dal processo e cioè un giro di tre assegni partito dall'imprenditore Bruno Chiulli: in base all'ordinanza d'arresto del 13 dicembre 2006 che ha costretto Cantagallo a restare in carcere fino al 20 gennaio 2007, i tre assegni sono andati all'ex sindaco come prezzo della corruzione. Ma Cantagallo dice che quei 7.500 mila euro non li ha visti e che i soldi sono stati incassati dall'agenzia Mirus di Russo per la campagna elettorale di Masci a sindaco di Pescara nel 2003.

SPUNTA DI GIACOMO
Tra i testimoni spunta anche l'assessore all'Urbanistica della giunta Cordoma Mimmo Di Giacomo, tra il 2004 e il 2006 consigliere della Margherita con Cantagallo e per trenta giorni anche capogruppo. In una intercettazione ambientale risalente al 26 ottobre 2006, Di Giacomo rivela a Cantagallo di aver avuto «una conversazione di un'ora con l'architetto Aurelio Colangelo» e offre un consiglio: «Parla con quella persona con cui ho parlato io perché potrebbe tornarti utile».

L'ARCHITETTO COLANGELO
Da Di Giacomo a Colangelo, uno degli architetti più noti di Montesilvano che, nove mesi prima dell'arresto, incontra Cantagallo e gli dice: «Ti sto preparando una camicia a righe su misura». Un modo elegante per dire che l'avrebbe mandato in carcere. Tre mesi prima dell'arresto, un altro messaggio: «Bene, la benzina già c'è, ci manca solo il cerino. Appena torno lo accendo», recita l'sms spedito da Colangelo il 3 settembre 2006 mentre si trova in vacanza.

Così, per gli imputati del processo Ciclone, l'inchiesta è nata dalle rivelazioni di Colangelo alla squadra mobile: perciò, l'architetto, nelle conversazioni intercettate, è dipinto come «uno dei più grandi infami che ci sono in giro». «Prima si è abbottato su tutto e poi...», dice il 3 ottobre 2006 Rolando Canale, ex dirigente all'Urbanistica e oggi dipendente comunale.

IL TESTIMONE CHIAVE
Ma lo stesso Colangelo è accreditato come uno dei testimoni chiave dell'accusa: una memoria storica dell'urbanistica di Montesilvano.

Il suo ruolo centrale nell'edilizia della città scatena un risentimento corso sul filo del telefono. In una conversazione spiata del 29 giugno 2006, una persona dice all'imprenditore ed ex consigliere della Margherita Vladimiro Lotorio: «Colangelo ha detto in giro un po' di cazzate tra cui "Vladimiro mo' va in galera"». In un altro colloquio, mentre l'inchiesta Ciclone è già di dominio pubblico, Lotorio sbotta: «L'obiettivo sono io», spiega riferendosi a personaggi politici che vogliono toglierlo di mezzo a cominciare da Luciano D'Alfonso, «però lo strumento, non ho dubbi, è l'architetto Colangelo. A 'sto punto, devo pensare che è stato lui a farmi sparare nella vetrina», arriva a ipotizzare riferendosi all'attentato con cinque colpi di pistola sparati contro i suoi uffici di via D'Annunzio il 4 febbraio 2004.

«È LUI IL MANOVRATORE»
Colangelo è l'ossessione degli indagati. Mentre i sequestri di documenti in Comune si susseguono, il 19 ottobre 2006, a meno di un mese dall'arresto, Cantagallo commenta: «L'architetto Colangelo è tornato in pompa magna».

Anche subito dopo i primi arresti, la responsabilità dell'indagine viene scaricata su Colangelo e, nella cella del carcere San Donato, l'avvocato Lamberto Di Pentima, capo di gabinetto di Cantagallo, si lamenta: «Tutto è stato manovrato dall'architetto Colangelo. Lui lo andava dicendo a tutti, già sapeva l'esito. Sono andati tutti dentro? Lo sapeva: quindi, questo è fuga di notizie».

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