IL RISCHIO DI UN NULLA DI FATTO
L’Italia arriva alle sue elezioni “cruciali”, quelle che dovrebbero fornire una rassicurazione ai mercati internazionali sulla sua stabilità, e non produce un risultato sicuro....
L’Italia arriva alle sue elezioni “cruciali”, quelle che dovrebbero fornire una rassicurazione ai mercati internazionali sulla sua stabilità, e non produce un risultato sicuro. Fra sei candidati premier e quattro maggiori partiti, il calcolo (che qui oggi non si può dettagliare perché non si possono citare sondaggi nelle ultime due settimane) ci dice che il parlamento non sarà governabile.
Ma ci meraviglia questo risultato? In verità, l’unica cosa che colpisce davvero di questa campagna elettorale è il livello di rimozione di cui, ancora una volta, ci si mostra capaci, come popolo.
Abbiamo dimenticato, intanto, che il nostro è un sistema politico in default. Un collasso ufficialmente certificato, del resto, dall’arrivo del governo Monti a novembre del 2011 - un commissariamento di fatto del paese, la prova provata che i partiti da soli non avrebbero saputo navigare la crisi. Un anno dopo, questi stessi partiti, nonostante abbiano avuto tutto il tempo per curare la loro crisi, non hanno fatto alcuna riforma istituzionale. Siamo infatti di nuovo qui a votare con il “porcellum”. Entra a questo punto in campo lo tsunami di Grillo, cresciuto proporzionalmente alla sfiducia nei confronti del sistema tutto. Alle radici del consenso a Grillo ci sono forti (e giuste) motivazioni di delusione e sofferenza sociale, un grande desiderio di cambiare. E come dargli torto? Ma le ragioni che si raccolgono intorno al M5S lo rendono automaticamente anche più credibile nelle soluzioni che offre?
Il secondo elemento rimosso dalla campagna elettorale è proprio questo: la crisi. Quanto più lunga e profonda appare dagli indicatori economici, tante più promesse facili abbiamo ascoltato. Sulle promesse del Pdl, strette nella confusione fra eliminazione delle tasse e restituzione delle stesse forse non c’è bisogno di soffermarsi. E’ indicativo però che lo stesso Professor Monti, che ben conosce le carte , abbia ceduto a tratti a ricette consolatorie (ebbene sì, ha promesso che le tasse possono ora essere tagliate). Il più cauto è stato forse il Pd – anche per la prudenza dovuta al suo anticipato ruolo di governo. Ma anche il Pd ha fatto promesse che saranno difficili da mantenere. La più irrealizzabile a mio parere e’ quella - che per altro lo impegna con il suo principale alleato, il sindacato, Fiom compresa – di riuscire a invertire il declino dell’industria pesante. Un settore affetto da un mix di malattie – di cui la principale è il default di un capitalismo che non innova e non investe da anni - che hanno molto poco a che fare con la crisi recente.
Dove e come trovare gli ingenti fondi per far ripartire la nostra economia rimane in generale un punto vago del programma del partito che porterà un suo uomo, molto probabilmente, a Palazzo Chigi.
Poi c’e’ Grillo da cui abbiamo ascoltato la promessa non solo di lavoro per tutti, ma di un lavoro “che non sostituisca la vita”, orizzonte di una concezione dell’umanità che non si esaurisca nella sopravvivenza. Anche su questo . punto, come non essere d’accordo. E come non capire la gente in piazza che celebra questa idea con euforia. Ma e’ una promessa realistica? E’ possible cambiare in corsa il modello produttivo, pagare meno tasse, e trovare i fondi necessari punendo i corrotti, rottamando il vecchio sistema e abbandonando l’Euro? «I soldi ci sono» ripete Grillo. I conti però non lo dicono.
L’unica verità che rimane di questa campagna elettorale è la nostra paura. La fine di anni di benessere, la impossibilità a vedere un futuro positivo per noi e i nostri cari.
E non importa come scegliamo di addomesticare questa paura - se con l’odio per gli altri, il razzismo, la violenza ,le minacce, o la galera - la verità che abbiamo bisogno di accettare è che non ci libereremo presto del fatto che il mondo è cambiato, e che non vivremo più come prima.
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