Imprenditore vince la causa contro la banca, dopo 11 anni recupera un milione

Pescara, la battaglia legale finita in Cassazione. L’istituto di credito gli aveva portato via la somma con un decreto ingiuntivo esecutivo. Ma l’imprenditore pescarese dell’abbigliamento non si è arreso e ha vinto in terzo grado
PESCARA. Ci sono voluti undici anni e tre gradi di giudizio perché un importante imprenditore del settore dell’abbigliamento riuscisse a recuperare oltre un milione di euro che una banca di interesse nazionale gli aveva portato via con un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. L’avvocato Emanuele Argento è riuscito ad aver ragione anche in Cassazione, costringendo la banca a restituire 1.045.000 euro al cliente imprenditore che era stato costretto a sborsarli da subito, senza chiedere la sospensione del decreto, per evitare una possibile reazione a catena di altri istituti di credito che lo avrebbero messo a rischio di fallimento.
IL CONTO CHIUSO NEL 2009. Quel conto finito all’attenzione dei giudici era peraltro stato chiuso nel 2009 quando la banca aveva richiesto, con un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, il rientro dell’affidamento nei confronti non solo dell’imprenditore, ma anche dei garanti. Partì così questa lunga battaglia giudiziale portata avanti dall’avvocato Argento, che già nel primo grado aveva permesso al ricorrente di eliminare gli importi indicati a debito dalla banca, riconoscendo addirittura un credito della società ex correntista.
L’APPELLO DELLA BANCA. Ma la banca presentò immediatamente appello dinanzi alla Corte aquilana per chiedere la riforma di quella sentenza. Era stato nominato anche un consulente tecnico che aveva effettuato tutti i conteggi relativi ai rapporti di conto corrente ripassati tra le parti, le cui risultanze sono state accolte anche dai giudici aquilani. Ancora una volta le motivazioni poste alla base di quelle due decisioni di primo e secondo grado erano legate all’accertamento sulla illegittima applicazione, da parte della banca, di interessi con capitalizzazione trimestrale (il così detto anatocismo), oltre all’illegittima applicazione di altri oneri mai validamente pattuiti tra banca e cliente.
LA CASSAZIONE. Ma per chiudere definitivamente la partita sono dovuti intervenire anche i giudici della Corte di Cassazione che hanno sostanzialmente “bacchettato” l’istituto di credito in quanto il ricorso era sostanzialmente inammissibile. «L’articolazione di un singolo motivo (di ricorso ndr) in più profili di doglianza», scrivono i giudici romani, «ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione di inammissibilità dell’impugnazione quando, come nel caso in esame, la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate; in particolare, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione di inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse».
SOMMA DA RESTITUIRE. Insomma, ricorso strutturato male che costringe ora la banca, con la conferma delle precedenti decisioni in favore del ricorrente, a restituire all’ex società correntista quel milione di euro che gli era stato sottratto ingiustamente, mettendo peraltro a rischio il fallimento della società.