Indagine della guardia di finanza a Pescara, scoperto traffico di cocaina gestito da dentro il carcere

12 Settembre 2025

L'inchiesta partita da un maxi sequestro di droga: due detenuti davano gli ordini da dietro le sbarre usando uno smartphone

PESCARA. Le sbarre proiettano un’ombra lunga, ma non sono abbastanza spesse da fermare la voce di chi comanda. Dentro il carcere di Pescara, il crimine non si ferma: si adatta, si riorganizza e gestisce i suoi affari al telefono, trasformando una cella in un ufficio con vista sul mercato della droga. È la fotografia che emerge dall’ultima indagine della procura guidata da Giuseppe Bellelli, che ha acceso un faro su un nuovo presunto traffico di cocaina diretto interamente dall’interno del penitenziario.

I NOMI

Al centro della vicenda ci sono due nomi, quelli di Luca D’Annunzio e Angelo Medoro, pescaresi di 21 e 50 anni, entrambi già detenuti a San Donato per altre vicende. Squillava, quel cellulare, dove il silenzio dovrebbe essere legge. Un trillo dopo l’altro, rompendo l’isolamento imposto dalla detenzione. Non solo telefonate, ma persino videochiamate. Secondo l’accusa, formalizzata nella richiesta di arresti firmata dal pubblico ministero Gennaro Varone, i due hanno agito come una vera e propria cabina di regia. Utilizzando uno smartphone che, in base alle ricostruzioni, è stato introdotto in cella abusivamente, avrebbero finanziato, diretto e supervisionato con meticolosità manageriale l’acquisto e lo spaccio di un ingente quantitativo di cocaina, muovendo gli uomini all’esterno come pedine su una scacchiera. L’indagine condotta dalla guardia di finanza è una costola di un’operazione precedente, quella che il 9 gennaio 2025 aveva portato all’arresto di Roberto Salutari e Davide Di Silvestre, bloccati con un chilo e ottanta grammi di droga, e qualche giorno dopo alla cattura di Niko Medoro, figlio di Angelo, raggiunto da un’ordinanza cautelare dopo la fuga al momento del blitz.

I RUOLI

Proprio l’analisi dei movimenti del giovane Medoro ha insospettito gli inquirenti, suggerendo che le sue azioni non fossero autonome, ma guidate da una mente più esperta che operava da un luogo insospettabile: la cella del padre. La struttura dell’organizzazione, così come ricostruita dagli investigatori, poggiava su un’architettura precisa e su ruoli ben distinti. D’Annunzio è indicato come il finanziatore, l’uomo che avrebbe investito il capitale necessario all’acquisto dello stupefacente, quantificato in almeno quindicimila euro solo per la partita sequestrata a gennaio. Dalle intercettazioni emerge il suo profilo di investitore attento e preoccupato per le perdite, un uomo che segue da vicino l’andamento del business e si lamenta per i mancati guadagni, manifestando la frustrazione di chi vede il proprio capitale andare in fumo. Angelo Medoro, invece, avrebbe ricoperto il ruolo di direttore operativo e, soprattutto, di mentore criminale per il figlio Niko. Lo istruiva, lo consigliava, gli spiegava i segreti del mestiere con la freddezza di un amministratore delegato che forma il suo erede. La base logistica delle operazioni sul campo era un appartamento in via Fonte Romana, di proprietà di D’Annunzio e messo a disposizione del gruppo come base sicura per la custodia e il taglio della cocaina, lontano da occhi indiscreti.

IL PIANO DI SPACCIO

Il cuore dell’inchiesta è nelle intercettazioni ambientali, registrate dalle microspie che hanno trasformato quella cella in una sala d’ascolto. I dialoghi captati e videoregistrati, avvenuti in un ambiente che i due evidentemente ritenevano sicuro, sono di una chiarezza disarmante e, secondo l’accusa, non lasciano spazio a interpretazioni. Tant’è che il pubblico ministero parla di «articolato piano di narcotraffico». La conversazione del 22 febbraio suona come un meticoloso inventario di magazzino. Angelo e Luca discutono di quantità di droga. Trecento grammi di cocaina sono andati a Mattia Tinari, anche lui pescarese, 24 anni, accusato di essere un pezzo fondamentale della rete di spaccio. Centocinquanta, invece, sono andati a tale Emilio. Il conto continua, cessione dopo cessione, elencando i «duecento ad Alex». Un resoconto dettagliato che per gli inquirenti è la prova inconfutabile della loro piena operatività.

COLLOQUIO-CHIAVE

È il 26 febbraio, però, che le conversazioni svelano l’intera strategia e la mentalità del gruppo. Angelo Medoro, parlando con D’Annunzio, calcola la sua quota di profitti futuri, in quella che appare come una vera e propria lezione di economia criminale impartita da padre in figlio. «Quando sarà il giorno dici: papà questa è la parte tua», dice Angelo, evocando il denaro contante e la quota di guadagno nella sua consistenza materiale nel momento in cui aggiunge: «La poggi su sto tavolo». La conversazione, per dirla con le parole del pm, «è un florilegio di riferimenti alla “roba”, ai grammi, ai profitti, sino all’ammissione che i guadagni devono essere ripartiti in quattro». Più nel dettaglio: «Facciamo un conto che dobbiamo dividere per quattro», afferma Angelo nel riferirsi a se stesso, al figlio, a D’Annunzio e a Di Silvestre. Negli stessi frangenti, D’Annunzio manifesta tutta la sua preoccupazione per l'arresto di Roberto Salutari e rivela il piano per neutralizzarne il rischio. «L’avvocato lo stiamo pagando noi», confessa, esplicitando senza mezzi termini l'obiettivo di quell'esborso economico: «Roberto fa quello che diciamo noi». Un tentativo, secondo la procura, non solo di controllare la versione dei fatti dell'arrestato, ma di inquinare attivamente le prove per deviare il corso della giustizia.

IL CONTESTO

Il quadro che ne deriva è quello di un sistema criminale che percepisce il carcere non come una punizione, ma come un contrattempo logistico, un ostacolo superabile con la tecnologia e l'astuzia. Il problema dei cellulari a San Donato, del resto, è una ferita aperta e mai rimarginata, un fenomeno denunciato da anni che le cronache hanno già raccontato, con dispositivi trovati nascosti nei pacchi di biscotti o addosso a detenuti che continuavano a gestire i loro traffici indisturbati, in una perenne partita a scacchi con la polizia penitenziaria.

LE RICHIESTE DEL PM

Sulla base di questo impianto accusatorio, la procura ha chiesto al giudice per le indagini preliminari Francesco Marino di stringere di nuovo le maglie attorno ai presunti vertici dell'organizzazione e ai loro collaboratori. Per Medoro (tuttora in cella per altra causa, difeso dall’avvocato Gianluca Carlone) e D’Annunzio (assistito da Barbara Pierdomenico) è stato sollecitato il carcere; per Tinari (rappresentato da Massimo Galasso), considerato il braccio operativo all'esterno, gli arresti domiciliari. La decisione del giudice è attesa dopo gli interrogatori degli indagati fissati per il 29 settembre. Le mura del carcere non sono bastate a sigillare le loro voci. Ci sono riuscite le microspie della procura.