L'assassino: «Noemi voleva uccidere la mia famiglia» 

Il giovane che ha confessato il delitto di Specchia si difende: «Ho usato un suo coltello». All’uscita dalla caserma rischia il linciaggio

SPECCHIA. «Voleva che ammazzassi la mia famiglia. L'ho uccisa per questo». Scarica le colpe su Noemi, il suo presunto assassino; tira in ballo chi non può più difendersi, il fidanzato, dopo averla uccisa e abbandonata sotto un mucchio di pietre al bordo della strada: «Quello che ho fatto è stato per l'amore che provo per voi. Noemi voleva che io vi uccidessi per potere avermi con sé».
Ci sono ancora tanti punti da chiarire nell'ennesima triste storia della provincia italiana più profonda, in cui la ragazzina sedicenne è la prima vittima ma non l'unica. Nodi che la confessione del ragazzo, che esce dalla caserma dei Carabinieri dopo l'arresto con lo sguardo di sfida e rischia di essere linciato dalla folla inferocita, non scioglie. Perché per capire davvero come è andata bisogna, prima, ricostruire il rapporto tra i due, le relazioni tra le famiglie, gli odi reciproci. E mettere ordine ai veleni del paese. Definire quello che gli investigatori e gli inquirenti chiamano il contesto. «Diciamo - racconta uno di loro - che la situazione socio familiare di entrambe le famiglie era di qualche disagio, per usare un eufemismo». Tre Tso negli ultimi sei mesi e la prescrizione di farmaci inibenti atti di ira e collera per il ragazzo, la segnalazione dei servizi sociali per un'assistenza al Sert anche per Noemi sono lì a confermarlo. Atti ufficiali come il provvedimento del tribunale dei minori che chiedeva sempre ai servizi sociali di farsi carico di Noemi. Peccato sia arrivato quando lei era già scomparsa e, probabilmente, morta. Quella mattina del 3 settembre, ha raccontato in sostanza il ragazzo, Noemi voleva trasformare lui e lei in novelli Erika e Omar. Quando alle 5 del mattino è andato a prenderla, lei si è presentata con un coltello. «L'ho uccisa con quello - ha raccontato - ho reagito di fronte alla sua ostinazione nel voler portare a termine il progetto di sterminare la mia famiglia». Parole che non potranno trovare alcuna conferma e dunque, dicono gli investigatori, vanno prese per quello che sono: dichiarazioni di un ragazzo confuso e malato, che ha però confessato l'omicidio. Tra l'altro, aggiungono, non c'è al momento alcuna traccia del coltello di cui parla il diciassettenne: fin quando non verrà eseguita l'autopsia non sarà possibile dunque stabilire se sul corpo di Noemi vi siano delle ferite compatibili con un'arma da taglio. Di certo c'è l'odio tra le due famiglie, culminati nelle denunce reciproche a distanza di venti giorni l'una dall'altra. Per lesioni quella dei familiari di Noemi; per atti persecutori quella presentata dai genitori del ragazzo. Stalking. «Lui non doveva guardarsi intorno se c'era qualche ragazza - sostiene la madre del giovane - subiva da lei e ultimamente ha reagito così. Reagiva, quando la vedeva. Lei gli ha fatto il lavaggio del cervello, l'ha fatto diventare un mostro». «Ma se era lui che era geloso marcio» replica Leila, la migliore amica di Noemi. «Me lo avrà detto centinaia di volte, che voleva lasciarlo. Ma aveva paura. E aveva ragione: una volta le ha riempito la faccia di lividi solo perché aveva guardato una moto. Una moto, capisci?» L'interrogatorio di garanzia, che ancora non è stato fissato, forse servirà a fare un po’ di chiarezza ulteriore. A partire dal ruolo del padre. L'uomo ha rivelato che il figlio, la sera prima del ritrovamento del corpo, gli rivelò quel che aveva fatto e gli chiese di accompagnarlo dai carabinieri. «Se hai le palle ci vai da solo» gli ha risposto lui, a conferma che questa è innanzitutto una storia di degrado familiare e che il diciassettenne è l'altra vittima. Forse ha cominciato a capirlo anche lui: «Ho sbagliato - continua a ripetere - se mi fossi ammazzato si sarebbe evitato questo casino».