L’esperto: «La normalità può salvarli»

Lo psicologo forense Delli Compagni spiega cos’è la psicosi e come rapportarsi con chi ne è affetto
PESCARA. «Su cento psicotici magari uno è violento, ma gli altri 99 no». È rassicurante Enrico Delli Compagni, psicologo forense, quando spiega cosa vuol dire psicosi, la patologia che affliggeva Valentino Di Nunzio, e cosa possono fare le persone che hanno a che fare con qualcuno affetto da questa patologia. «La psicosi è una distonia dalla realtà, cioè vuol dire che non si è in sintonia con quello che ci circonda. Ad ogni modo non è detto che chi è affetto da psicosi sia sempre distonico rispetto alla società». Anche l’ipotesi di una degenerazione violenta della patologia non deve essere automatica per Delli Compagni: «Quando diventa violenta si parla di acting out, che può essere eterolesivo, cioè diretto verso altri o autolesivo, cioè diretto verso se stessi. Questo avviene quando c’è una rottura, quando lo stato mentale è talmente forte da richiedere un gesto di questo tipo. Ma non è detto che la psicosi diventi violenza ed è anche molto difficile fare previsioni su quando un soggetto può diventare pericoloso. Anche se l’eventuale gesto violento si potesse prevedere, poi, non ci sono molte possibilità di intervento: l’unica strada percorribile di fatto è il trattamento sanitario obbligatorio».
In realtà il problema di una patologia di questo genere per Delli Compagni è la gestione dei pazienti. «La gestione di un soggetto psicotico è molto complessa, anche perché non ci sono strutture deputate ad affrontare il problema. Ci sono i centri di salute mentale, certo, ma sono pochi rispetto al numero delle richieste quindi spesso le famiglie si trovano sole ad affrontare un problema che ha bisogno di essere trattato da un professionista o, ancora meglio da un’equipe di specialisti. Gli psicotici spesso per le loro condizioni potrebbero fare un lavoro alternativo e invece le famiglie si trovano ad avere a che fare con un disabile attivo dal punto di vista fisico » .
Secondo lo psicologo, ad ogni modo, l’importante è non demonizzare. «Bisogna tenere i pazienti di questo tipo sotto controllo, certo, ma bisogna anche trattarli normalmente, così come si fa con i disabili. Si deve cercare di partire dal presupposto che si ha a che fare con una persona che ha dei limiti, ma sarà la persona stessa a dire quali sono. Solo la normalità li può salvare».(l.ve.)
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