LA LEGGE DI STABILITÀ E LA RISSA QUOTIDIANA

Una pizza e una birra hanno il sapore agrodolce della stabilità. Il governo Letta-Alfano va. L’Italia un po’ meno. La Grande Manovra – che, secondo la vulgata benevola, non impone tasse ma restituisce soldi ai contribuenti – è tutta in quella cifra simbolica: 14 euro al mese in più in busta paga per tre milioni e mezzo di lavoratori; 10 euro soltanto per altri quattro milioni di dipendenti.

Una pizza e una birra, forse. Ma senza l’amaro ché quello ti prende al fegato. Ci consola Barack Obama da Washington: «L’Italia sta andando nella giusta direzione», dice lodando il premier in visita alla Casa Bianca. Lo spread conferma attestandosi a 235 punti. I mercati per ora non si lasciano turbare dalle minacce di sciopero generale agitate dalla segretaria della Cgil Susanna Camusso.

Già, lo sciopero: coazione a ripetere di una protesta fuori tempo massimo; come se bastasse bloccare per un giorno il paese per rimettere in moto l’economia. Che invece si inceppa nell’omonimo ministero che dovrebbe curarne il sostegno: il viceministro Stefano Fassina forse si dimette, forse no. E’ come il suo partito, il Pd, di lotta e di governo a giorni alterni.

Così la legge di stabilità imbocca la via irta di insidie dell’esame del Parlamento. Napolitano dal Colle sorveglia. I provvedimenti in cantiere non piacciono né alle organizzazioni dei lavoratori né a quelle degli imprenditori. Né tantomeno a Berlusconi al quale interessa unicamente tenersi stretto quanto più a lungo è possibile il seggio senatoriale. Il capo dello Stato si appella al senso di responsabilità e difende la manovra affinché più che il coraggio di scelte radicali prevalga la prudenza nel tener sotto controllo i conti pubblici.

D’altra parte lo stato di necessità su cui si fonda questo strano governo difficilmente produrrà qualcosa di innovativo nelle strutture economiche da riformare. Larghe intese, ristrette vedute. Ciascuno dei partiti che sostengono l’alleanza gioca più parti in commedia.

I democratici sono alle prese con una feroce campagna congressuale stoltamente convinti che, cambiando un segretario, potranno vincere le elezioni prossime venture senza mai fare i conti con il recente disastro. Nel centrodestra il regolamento di conti si consuma fin dentro la residenza romana del Grande Decaduto: ministeriali, sfascisti, duduisti (dal nome del cagnolino Dudù caro alla fascinosa fidanzata del Cavaliere, Francesca Pascale) in lotta feroce per l’eredità politica di Silvio Berlusconi.

Come se non bastasse, persino la forza più piccola della maggioranza litigiosa – quella Scelta Civica inventata di sana pianta da Mario Monti – ha trovato il modo di far parlare di sé. Defenestrando il fondatore. Ultimo a implodere tra i troppi partitini personali a dimostrazione che anche una risorsa morale e intellettuale della nazione – Mario Monti lo è stato – finisce delegittimata quando pratica una politica politicante che non gli appartiene: da senatore a vita a isolato a vita, il passo è breve. Che dubbio c’è; se si va a mettere nelle mani di Casini, Pierfurby se lo cucina.

Nella rissa quotidiana che va in scena giorno dopo giorno da Montecitorio a Palazzo Madama, con rituale stanchezza, si perdono di vista gli obiettivi concreti, quelli che stanno a cuore agli italiani. Così, se è vero come dicono i sondaggi, che gli elettori tutto sommato preferiscono tenersi questo governo così com’è piuttosto che affrontare nuove e confuse votazioni (con la stessa legge porcata), è anche vero che la stabilità di per se stessa non è garanzia di un buon governo.

Lo abbiamo già visto: gli anni di Berlusconi hanno infatti coinciso con una stabile stagnazione. Pertanto se mai la ripresa davvero incrocerà l’Italia, non sarà con l’inerzia che la ravviveremo. Ecco. Incomincia un nuovo autunno delle nostre incertezze.

l.vicinanza@finegil.it

@VicinanzaL

©RIPRODUZIONE RISERVATA