La lettera disperata di Giacomo, rinchiuso in Egitto: «Prego di non svegliarmi più, io mi c’ammazzo qua»

4 Febbraio 2025

Il 32enne pescarese, arrestato al Cairo ad agosto 2023 e oggi condannato a 25 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti, ha scritto al fratello dopo la conferma della condanna in appello. La polizia egiziana l’aveva trovato con una piccola quantità di marijuana.

PESCARA. «Rischio di non uscire con le mie gambe da qui… sono tanto disperato, molto di più di quanto tu possa immaginare… prego di non svegliarmi più al mattino»: è un vero e proprio grido di allarme quello lanciato nell’ultima lettera fatta recapitare, sabato scorso, al fratello Marco Antonio da Luigi Giacomo Passeri, 32enne di Pescara, arrestato al Cairo ad agosto del 2023 e ora condannato, anche in appello, a 25 anni di carcere. Scrive per provare a spiegare come si sente, perché «è stata confermata la condanna nonostante le prove contro tutte le falsità dichiarate dalla polizia egiziana», precisa. Giacomo è accusato di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, ma «in realtà è stato trovato con una quantità di marijuana limitata all’uso personale, quando è stato fermato dalla polizia egiziana, che poi non lo ha lasciato più andare», ribadisce il fratello.

In altre lettere il giovane aveva rivelato che cosa accade in carcere, in riferimento a violenze subite fin dall’inizio e in una missiva aveva raccontato l’arresto e i momenti immediatamente successivi, «quando è stato picchiato alla pancia e poi ha subito anche un intervento di rimozione dell’appendice, senza però ricevere cure adeguate». Secondo l’accusa, aveva degli ovuli.

Nella lettera di sabato si fa riferimento anche alla mancanza di attenzione da parte del Governo italiano. Giacomo pensa di essere stato abbandonato e sembra non avere più molta forza d'animo. Nell’ultimo rigo scrive: «Ho smesso di pregare… Io mi c’ammazzo qua… ciao To’». Una frase che getta i familiari nello sconforto. Domenica pomeriggio, quando si è svolto il confronto a distanza con l’ambasciata per capire meglio come procedere, considerando la pesante sentenza, ai fratelli è stato riferito di attendere le motivazioni prima del ricorso in Cassazione. «Per ora, però, ci sarebbe una sola cosa da fare: consentire il ritorno di mio fratello in Italia, al di là della pena da scontare», dice Marco Antonio. A sollecitare il ministro degli Esteri Antonio Tajani con una seconda lettera è stato anche il sindaco Carlo Masci. La prima era stata inviata al vicepresidente del Consiglio dei ministri ad agosto scorso, poco prima di approvare in consiglio comunale una mozione sul caso Passeri, su proposta del Pd e in particolare della consigliera Michela Di Stefano.

Il primo cittadino chiede di verificare la possibilità di «instaurare un dialogo con le autorità egiziane al fine di stabilire se siano applicabili altri strumenti di cooperazione giudiziaria in materia penale, che prevedano l’espiazione della pena in Italia, e comunque, affinché sia accordato al più presto un regime di custodia scevro da misure inumane e degradanti, in linea con le convenzioni internazionali sui diritti umani». Al capo di gabinetto della Farnesina ha scritto anche il deputato di Forza Italia Nazario Pagano, pronto a capire meglio che cosa ha portato la giustizia egiziana a stabilire una condanna così elevata per Giacomo Passeri, originario della Sierra Leone e giunto a Pescara con la famiglia nel 1997. E nei giorni scorsi alcuni amici, particolarmente preoccupati per le condizioni psicofisiche del giovane, hanno lanciato un appello, affinché il Governo si adoperi per riportarlo a casa.