La mamma della vittima: rispetto i giudici

«In fondo è solo un ragazzo dell’età di mia figlia, colpisce la non consapevolezza della gravità dei fatti»
L’AQUILA. «A guardarlo oggi, in quest’aula, ho pensato che in fondo è un ragazzo dell’età di mia figlia, a cui forse mancano solo dei princìpi educativi. Mi ha colpito la non consapevolezza della gravità del fatto, dico a livello umano e non giuridico».
La mamma della studentessa è serena mentre parla dell’ex militare campano condannato a 8 anni. «Ho pieno rispetto delle decisioni dei giudici. Nulla potrà riparare un fatto di una gravità incredibile. La vita di mia figlia è stata stravolta, quelle lesioni le porterà per sempre. Ma l’acredine, la rabbia non aiutano. Non ho mai considerato la sentenza un elemento che potesse cambiare la nostra vita familiare, perché le problematiche rimangono, vanno affrontate e dobbiamo avere una grossa serenità d’animo per dare il meglio di noi. In questa storia l’unico punto fermo che vedo è che mia figlia è ancora viva». È questo che permette alla donna di reagire con grande dignità rispetto anche a una sentenza che, dice, «posso solo accettare per quello che è». Da parte sua non una parola fuori posto, non un grido, non una lacrima. Sembra quasi discostarsi dalle tante donne arrivate da tutta Italia per assistere al processo. Donne che quando Tuccia, prima della sentenza, si allontana un attimo, gli gridano: «Vergogna!» e che, conosciuto il verdetto, dicono: «Che schifo, questa è l’Italia». Poi, quando lui lascia l’aula per non ascoltare le parole del giudice, lo inseguono e urlano. Sono arrivate da Roma, Taranto, Milano. Appena letto il dispositivo fanno una barriera di foulard, sciarpe, giubbotti intorno alla ragazza in aula e allontanano i cameraman. Alcune fanno parte del Centro antiviolenza come Orietta Paciucci, che ne è la coordinatrice. «La sentenza», dice, «è significativa anche se la richiesta del pm era ben altra. È la quinta volta che in Italia viene ammessa un’associazione femminile come parte civile e questo per noi è un grosso risultato». Restano fino alla fine anche Sara Occhiuzzi ed Emanuela Rossi del collettivo Fuori genere. «Ci piacerebbe che ci fossero altri protocolli almeno per il processo per stupro», dicono. «Speriamo che un giorno non esista più la necessità di doversi difendere dal sesso maschile». E rivolte a Tuccia, ormai lontano: «Anche stasera aveva un atteggiamento quasi rilassato, non possiamo provare nessuna tenerezza per lui».
Michela Corridore
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