La movida alpina è rock Musica a palla fino all’alba

I giovani si riprendono il centro storico dell’Aquila e ballano tra i puntellamenti Effetto strobo dalle gru illuminate in una città che non sembra la stessa

L’AQUILA. La notte «bianca, verde e rossa» è la notte delle penne nere, del soffitto azzurro e oro di San Bernardino, degli ombrelli arcobaleno che si aprono e si chiudono sopra una folla variopinta. È la notte del profumo di piadine misto a quello dolciastro delle ciambelle alla Nutella, degli arancini siciliani, ma soprattutto degli arrosticini. È la notte della birra a fiumi, del vino nei bicchieri di plastica e degli eccessi. È la notte delle bande, della musica “sparata” nei bar, delle signore che gli alpini fanno volteggiare tra le loro mani come sottili ballerine al suono di canti tipici, di mazurche e valzer improvvisati.

La notte bianca, verde e rossa è una notte che la città non dimenticherà, ma non per i negozi aperti fino alle 24, i centri commerciali della periferia illuminati, le serate speciali dei pub. Ma per il calore e l’affetto di queste penne nere che riempiono di complimenti le donne, di ogni età, e danno pacche sulle spalle degli uomini, come fossero loro amici da sempre, che tra una battuta e uno scherzo sanno suonare, cantare e ballare anche dopo diversi bicchieri di troppo.

Perché anche per questo ci vuole allenamento: lo sanno bene i ragazzi aquilani che cercano di imitarli e si ritrovano seduti sui finestroni dei portici di San Bernardino a farsi reggere la fronte. Succede anche questo nella notte dai mille colori che riempie le strade del corso di gente, tanto che per attraversarlo non è sufficiente un’ora e ti ritrovi schiacciata come una sardina in scatola tra un aquilano e un alpino, circondata dalle ferite del terremoto, a chiederti se i cornicioni lassù davvero sono in sicurezza, se la città ancora malconcia, soprattutto nel suo centro storico, è in grado di sostenere questo fiume infinito di gente, se qualche vigile qua e là può essere sufficiente a mantenere l’ordine.

Ti domandi se la musica urlata, i cori, le risate tra le mura ancora puntellate, siano rispettose del dolore che ha vissuto e vive questa città.

Le risposte le danno gli alpini: anche L’Aquila, con tutti i suoi guai, può ospitarli. Perché loro ridono, scherzano e bevono, ma sanno nonostante tutto stare al proprio posto, pronti a prestarti il cappello per scattare una foto, ad accendere i mezzi di trasporto più strani per farti fare il giro della piazza o a offrirti aiuto nei momenti di bisogno. Loro non hanno paura di questa città che sei anni fa ha “tradito” tanti aquilani. Vogliono solo vederla vivere di nuovo. E così non sai neanche tu come finisci su un carretto, sotto una bandiera tricolore che sventola a girare per la città, o sopra un trattore che sobbalza, a cantare “Sul cappello”. In questa notte tutto è possibile. Anche rinascere.

Lo dimostrano i volti distesi e i sorrisi di tanti, quanti non si vedevano da tempo, gli sguardi increduli dentro una San Bernardino appena tirata a lucido, con la sua illuminazione un po’ holliwoodiana, i cappelli verdi su tutte le teste, la Fontana Luminosa tricolore, da cui è tornata a sgorgare l’acqua, il cane Pluto con la fascia da sindaco, il Castello cinquecentesco, con un cuore ancora profondamente ferito, che per l’occasione ha, però, sfoggiato il suo abito migliore: quello bianco, verde e rosso.

Michela Corridore

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