La pace possibile secondo Paolo Mieli

21 Settembre 2024

Al summit, l’intervista di Telese al collega giornalista autore del saggio Fiamme dal passato

PESCARA. «Solo capendo le complicazioni del Novecento, possiamo avvicinarci alle cose moderne”, dice Paolo Mieli.
Dal processo di Norimberga alle guerre in Ucraina e Medio Oriente. Lo spunto lo dà l’ultimo libro scritto dal giornalista e conduttore televisivo, “Fiamme dal passato. Dalle braci del Novecento alle guerre di oggi”, un saggio pubblicato dalla casa editrice Rizzoli. «Le guerre non spariscono mai», rimarca l’ospite d’eccezione al 4° Abruzzo Economy Summit che si è concluso ieri a Pescara.
Ad intervistare Mieli, sul palco dell’Aurum, c’è Luca Telese, giornalista e scrittore, dal prossimo 1° ottobre direttore del quotidiano Il Centro, come sottolinea la direttrice di Confimi Abruzzo, Alessandra Relmi, nell’introdurre uno degli appuntamenti più interessanti in scaletta.
Tra Mieli e Telese la sintonia è tangibile. «Le guerre ci sono sempre, si svolgono anche lontano da noi. Ma i due conflitti in corso ci richiamano alla quotidianità della guerra», cioè a quella sensazione psicologica di precarietà e fine. In una parola: paura. Non a caso, Mieli e Telese, citano le parole di Papa Francesco: «Viviamo una terza guerra mondiale combattuta a pezzi». Frazionata in tanti conflitti.
L’intervista scorre velocemente, la platea è attenta, Mieli però non è catastrofico, anzi, rassicura elaborando, con gli occhi dello storico, le questioni irrisolte del Novecento. E tracciando, con un salto temporale di vichiana memoria, un parallelo con le cose moderne.
Parte dall’epilogo: il processo di Norimberga, con i vincitori sullo scranno dell’accusa e i vinti sul banco degli imputati, che non fu un vero processo perché mancava la terzietà del giudizio. E attualizza il tutto alle condanne inflitte a Putin: il tribunale dell’Aia che ha accusato il capo del Cremlino di essere responsabile dei crimini di guerra. Ma non è questa, dice, la via per la pacificazione, come non lo fu, il 20 novembre del ’45, il processo a Norimberga.
«L'idea buona è che nel mondo si possa continuare a vivere nonostante i conflitti e che i piccoli compromessi sono molto più importanti dei grandi processi. Abituarsi all'idea che durante i conflitti il mondo va avanti. La pace è fatta da quelli che continuano a lavorare, e da quei piccoli gesti, come i bimbi palestinesi vaccinati contro la poliomielite dagli israeliani, dal significato enorme perché aiutano alla ricostruzione dell’armonia».
Questo è il messaggio rassicurante che fa quasi tirare un sospiro di sollievo a chi ascolta i due giornalisti, in una giornata in cui economia, transizione, innovazione e futuro, devono inevitabilmente fare i conti con le guerre in corso, che Mieli legge analizzando il passato.
«Il vero tema della guerra in Ucraina è che è difficile essere confinanti della Russia», così era e così è, dice il saggista ripescando dalla storia le figure di Caterina II e Lenin, «il punto di arrivo è trovare una soluzione affinché Russia e confinanti si sentano garantiti».
Ma c’è anche un’altra perla di saggezza che dal palco dell’Aurum raggiunge la platea: «L'importante, durante le guerre, è riuscire a cambiare opinione», ovvero il preconcetto è tossico, non porta alla fine dei conflitti.
La parte conclusiva dell’intervista riesce a traslare i temi bellici nell’arena della storia politica italiana: il conflitto tra ideologie di destra e sinistra e l’elaborazione della transizione al governo della destra meloniana. Mieli cita il libro di Telese, il romanzo criminale degli anni di piombo, “Cuori neri”, un unico filo rosso che collega tra di loro ventuno giovani di destra caduti in quella guerra spietata. E dice al collega: «Sei stato uno dei primi a parlarne». Quindi distingue l'antifascismo del ‘45 da quello degli anni 70-80. Ma secondo Mieli ci sarà un giorno in cui tutte le vittime saranno ricordate insieme. «Quella sarà la vera pacificazione». (l.c.)
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