MALDISCHIENA

12 Agosto 2013

Questo racconto è tra i 15 in gara per il premio John Fante 2013. Oltre al titolo assegnato dalla giuria di qualità, sarà assegnato anche un premio dei lettori. Se vuoi far vincere questo scritto condividilo su Facebook, Twitter o Google+

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Io di mestiere faccio la fisioterapista ma mi piacerebbe il cinema. No, non per fare l’attrice. Ma tutti i lavori che ci stanno dentro e che uno da fuori neanche li sa. L’altro giorno, per esempio, sono andata in domiciliare a casa di un regista famoso. Chi è non ve lo posso dire, si capisce. Ma è uno forte. Che poi era cominciata male perché lui voleva la collega mia più esperta, Lola, quella fanatica, e io che la sostituivo mi ero mezza incazzata e mezza intimidita. Ma poi è andata bene. Pensa che alla fine mi ha pure offerto due tiri d’erba e io, per non fare la figura della stupida, ho accettato. Per carità, se lo sapesse il capo mio. Sai le prediche! Che poi a studio sono la più giovane e l’ultima arrivata e devo rigare dritto sennò, altro che cinema.
Comunque, ho fatto ‘sto massaggio al regista: tratto cervicale, contrattura del trapezio. Hai voglia a lavorarci sopra. Ultrasuoni, stretching, seee!  Roba da psicologo più che da fisioterapista. 
Sono i pensieri. Però è pure tutto di postura e infatti lui l’ha ammesso che sta sempre scomposto, con la mano a staffa sotto il mento e il gomito puntato sopra il tavolo. E’ patologia professionale, gli dico. Come quella paziente mia che suona la viola.  È da aria condizionata, sostiene lui e sorride.
***
La volta dopo, lo trovo al telefono in certe conversazioni impegnative, roba seria. Pause lunghe, assorte. Qualche risatella impacciata come quelle dei timidi davanti ai complimenti. Nomi comuni di personaggi famosi. Con un’aria sorniona e stravaccata. Un po’ di scena, pure, insomma. E intanto io lì ad aspettare.
Mi sono guardata intorno, c’erano un mucchio di libri, ma tanti, tutti in mezzo. Allora mi è venuta un’idea, mi sono messa a far finta di curiosare. Con disinvoltura, in modo che rientrando lui notasse che io m’interessavo delle sue letture.  Ho pensato, stai a vedè che funziona?
Sì, perché, a me questo regista mi piace tanto e ho visto tutti i film che ha girato e volevo fare un po’ colpo, magari ci casca e mi chiede di lavorare con lui.  Che? Dite che non funziona? Mbè, allora, come si fa? Mica uno lo ferma per strada e gli regala un racconto dentro una busta, come un’altra paziente mia. Ma quella è una che fa cose strambe, solo che addosso a lei stanno eleganti.
Invece lui è rientrato a occhi bassi, tutto pensieroso, distratto e contento. Si capiva che c’aveva voglia di parlarne ma se la teneva. Poi, però, non ce l’ha fatta: è sbottato a raccontare che gli hanno proposto di fare una cosa difficile, bellissima ma difficile. Scrivere un film da un romanzo di uno scrittore americano, anzi italo-americano, un tipo geniale, ha detto lui.
“Uno scrittore di culto, sai?”
Uno che quando ha scritto questo romanzo era diventato cieco e gli avevano amputato le gambe per il diabete e allora l’ha scritto dettandolo alla moglie.
“Non so se tu puoi capire la grande bellezza …”
Beh, non gliel’ho fatta più.
Ah bello, ma per chi m’hai presa! Solo perché c’hai davanti una tranquilla che nun se spara ‘e pose, te credi de potemme parla’ come a ‘na deficiente? Perché nun le posso capi’ io ‘ste cose?? Sei te che nun capisci … te, a quello scrittore là, non gli saresti annato a genio per niente!
Insomma m’ha fatto sbrocca’. Stupida! Mo’ me la posso scordare la terapia a casa del regista e addio sogni di gloria.  Ma m’è salita una rabbia a pensare ai pazienti nevrotici, ai colleghi ignoranti e a tutto il resto che, poi, quando è finito, non sempre ce la faccio per quello che mi piace veramente. Perché tu dici: l’amore, le passioni, le cose che veramente vuoi, i desideri, sì, a farci i conti ci vuole coraggio, tigna e a me, certe volte, mi passa la voglia.
Però com’era bella la storia di questo vecchio geniale che detta e della moglie che scrive. Altro che cinema!

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