Mancini, la verità nelle ultime chat sul cellulare

Il blitz degli investigatori in casa e nell’auto dell'uomo che ha ucciso la moglie Cleria: non sono state trovate armi né coltelli sospetti
LETTOMANOPPELLO. Se il killer Antonio Mancini avesse premeditato una strage o se ne avesse parlato prima con qualcuno lo dirà anche l’esame del suo telefonino, finito sotto sequestro dopo aver ucciso l’ex moglie Cleria. Dall’analisi dei dati e le testimonianze che vengono a galla di giorno in giorno, gli investigatori stanno ricostruendo le ore precedenti a quella tragedia avvenuta nel paesino alle pendici della Maiella su cui ora si sono accesi i riflettori per l’ennesimo femminicidio per mano di un uomo. Dopo l’arresto di Mancini, avvenuto dietro un’auto parcheggiata nella piazza di Turrivalignani, è scattato il blitz dei carabinieri nella casa di edilizia popolare in via Ignazio Silone dove l’uomo, 69 anni, viveva con un cane.
I carabinieri hanno passato al setaccio l’appartamento, cercando tra cassetti, armadi e borselli eventuali indizi e la presenza di altre armi ed eventuali coltelli che Mancini aveva più volte esibito come trofei sul suo diario social, sotto lo pseudonimo di “Antonio Ayatollah”. Al momento della perquisizione, però, non sono state trovate armi. Sotto sequestro la pistola Beretta Parabellum e due caricatori che giovedì scorso il 69enne ha usato per uccidere l’ex moglie. L’arma è risultata rubata nel 2011 a un agente di polizia penitenziaria. Nelle mani degli inquirenti anche quattro bossoli che dopo ore di rilievi sono stati ritrovati a terra, tra Lettomanoppello e Turrivalignani.
Ha dato esito negativo anche la perquisizione della sua macchina, una Nissan Navara blu, che Mancini aveva personalizzato in autonomia con bombolette spray colorate, frasi e impronte di mani. Da anni, all’uomo era stata revocata la patente di guida. Sotto sequestro anche la carrozzina elettrica che Mancini usava per spostarsi in paese e su cui giovedì scorso ha raggiunto l’ex moglie e il nipote all’inizio del Corso di Lettomanoppello, per poi dirigersi nella piazza di Turrivalignani.
Giovedì sera i carabinieri hanno anche provveduto ad affidare il suo cane, un corso italiano di grande taglia, ad una parente tramite i servizi sanitari della Asl. E proprio questo cane era usato da Mancini per intimorire spesso i passanti, portandolo a spasso senza museruola nella piazza del paese, avventandolo più di una volta anche contro i carabinieri.
Da anni Mancini viveva nella casa popolare, un edificio di circa dieci appartamenti con un giardinetto comune di cui lui si era appropriato, usato come recinto per il suo cane e per coltivare alcuni ortaggi. In passato, proprio tra le piante di pomodoro, i carabinieri avevano trovato nascosta una coltivazione di marijuana. Sono questi gli elementi di partenza su cui gli investigatori stanno lavorando e che si intrecciando al racconto confuso e distorto di ieri mattina del killer in carcere.
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