Marsilio agli avversari «Votate la mia legge»

18 Novembre 2024

Invita D’Amico a condividerla ma lo avverte: il veto è inaccettabile 

L’AQUILA. Il Collegio unico regionale significa rivoluzionare il voto di un milione di abruzzesi. In sei mesi si concluderà, con un sì o con un no, la partita sulla nuova legge elettorale proposta dal presidente della Regione, Marco Marsilio, che lancia un invito e uno stop all’avversario, Luciano D’Amico. L’invito è di condividere la riforma.
Lo stop è al diritto di veto che, per il governatore, «sarebbe inaccettabile».
Presidente, l'Abruzzo ha davvero bisogno di questa riforma?
Sì, perché io penso che sia una spinta decisiva per fare crescere la classe dirigente regionale superando divisioni, frazionismi e campanilismi che hanno sempre costituito la grande debolezza dell’Abruzzo.
E qual è l’articolo principale della legge?
Il cuore è trasformare i quattro collegi provinciali in un collegio unico regionale mantenendo l’elezione diretta del presidente della giunta e il premio di maggioranza al 60% per garantire la governabilità e la scelta chiara da parte degli elettori.
Entri più nel merito.
Il cuore l’ho già detto. I dettagli sono argomenti sui quali è legittimo aprire una discussione per confrontarsi con altre opinioni.
Come quelle di alcuni consiglieri, non solo dell'opposizione, che temono un boom delle spese per la campagna elettorale?
Vorrei ricordare che esiste già una norma che prescrive un limite alle spese dei candidati alla presidenza della Regione. Il tetto dev’essere inferiore ai 50.000 euro che non è molto diverso da quello del singolo consigliere che è di 38.000 euro. Peraltro la proposta di inserire una terza preferenza è pensata anche per dividere i costi tra più candidati nei diversi territori. Fare le cordate per spendere di meno.
Ma altrove cosa accade?
Beh! In Lombardia o nel Lazio si prevedono già collegi elettorali di tre milioni e mezzo di elettori, più di due volte dell'intero Abruzzo. A Milano un paio di milioni di elettori, a Napoli solo la città prevede un collegio come l’intero Abruzzo. Altrove si fa e non è mai stato di ostacolo.
Ma c’è un’altra perplessità. Quella di chi dice che il collegio unico farebbe scomparire i candidati dei piccoli centri. I voti, del resto, si misurano sulla densità demografica. Avremo un Consiglio regionale di tanti cittadini e pochi o nessun paesano?
Allora, ripartiamo da capo. Come sono andate le ultime elezioni nei quattro collegi provinciali? Chieti capoluogo non ha fatto incetta di eletti. La più votata è stata Tiziana Magnacca che non era una uscente. I campioni di preferenze stanno a San Salvo, Castel Frentano e Casalbordino dove peraltro Carla Zinni, con oltre 6.000 voti, non è stata eletta. E Casalbordino non è una metropoli. In provincia dell'Aquila è Trasacco, e non L’Aquila o Avezzano, a guidare la classifica. Quando uno ha i voti li ha e basta. Ho vissuto una vita di campagne elettorali e so che, anche nei piccoli centri di provincia, chi ha un alto coefficiente di contatti e conoscenze personali diventa il candidato di bandiera del territorio. Sono persone che hanno più preferenze di chi viene dalle metropoli dove il voto di opinione, di quello che fa la croce sul simbolo e non conosce nessuno, non è sufficiente.
Quindi?
Quindi le aree interne non sono penalizzate, anzi sono molto competitive.
Allora le faccio una domanda al contrario. Con il collegio unico, campioni di preferenze non rieletti, come Mauro Febbo e Pietro Quaresimale, rimarrebbero fuori?
(Sorride). Prima ho fatto l’esempio di Zinni. Con il Collegio unico non può succedere. Con il sistema attuale accadono questo e altri paradossi.
Quali?
Premesso che tutti i sistemi elettorali, anche quello che propongo, hanno dei limiti, con l’attuale abbiamo avuto che la provincia di Teramo ha eletto quattro rappresentanti di sinistra e tre di destra nonostante il 51% l'abbia preso il centrodestra. Chi ha avuto meno voti, ha conquistato più seggi. All’Aquila la proporzione dei seggi tra destra e sinistra è stata di 6 a 1. Eppure il risultato è stato di 60% a 40. E c’è anche il caso del seggio che scatta in maniera bizzarra, come un flipper, che premia il candidato nel collegio dove il partito ha preso meno voti. È capitato anche alla mia lista, a Pescara (il caso Verì, ndr).
È come dire che la democrazia non si misura con le alchimie.
I risultati ce lo confermano. Quelli che ho descritto sono alcuni dei difetti più evidenti. Ce ne sono stati anche in passato quando, nel 2019, la lista dei Cinque Stelle prese più eletti della somma dei voti delle liste che sostenevano Giovanni Legnini, eppure il rapporto era del 20% contro il 30. Ma anche qui ho proposto una correzione indicando che, nella ripartizione dei seggi, è da tenere conto prima il voto di coalizione espresso al candidato presidente e poi lo si ridistribuisce all’interno delle coalizioni.
Riuscirà a fare approvare la nuova legge entro marzo?
È un auspicio. Diciamo che avevo promesso di portare presto la legge in Commissione statuto, e l’ho fatto, per evitare che si ripetesse quello che è accaduto la volta scorsa quando la proposta è arrivata troppo a ridosso della tornata elettorale. Ora, la prima riunione è stata dialogante e costruttiva. Nessuno ha espresso pregiudizi e questo mi fa ben sperare.
Ne è certo?
Se il clima rimane questo, nel giro di qualche mese saremo in grado di arrivare a un testo condiviso da tutti.
Le ricordo che la volta scorsa, a novembre 2023, c’era un fronte del no trasversale.
Nel centrodestra il pregiudizio è assolutamente superato perché la riforma della legge elettorale fa parte del programma di governo che tutti i partiti hanno sottoscritto.
E nel centrosinistra?
L’indisponibilità dell’opposizione ci portò sulla strada di rinunciare. E anche ora è difficile ottenere la condivisione assoluta, ma una larga maggioranza si può raggiungere. Del resto le regole del gioco funzionano meglio se vengono votate insieme.
E se l’opposizione, su indicazione di Luciano D’Amico, dovesse astenersi in blocco?
Eh vabbè, non raccolgo questa provocazione. Avevo il dovere di fare la prima mossa sulla scacchiera. Ora attendo le riflessioni dell’opposizione, nel suo complesso. Cercheremo di costruire il consenso più ampio possibile con le minoranze e, anche se non fosse totale, non vorrà dire che se uno non è d’accordo ci fermeremo tutti. Sarebbe un diritto di veto inaccettabile. Al contrario mi aspetto una prova di maturità da parte di D’Amico e i suoi per costruire insieme un testo che possa andare bene per tutti. Ma ad impossibilia nemo tenetur. Vedremo cosa accadrà.