Misteri d’Italia, la versione di K
Caso Moro, la P2 e l’origine di Berlusconi nel nuovo libro di Cossiga
«La storia dell’Italia post-bellica che sto per raccontarvi comincia nella notte del 4 gennaio 1947, quando Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri, si imbarca su un aereo e vola verso gli Stati Uniti. Un viaggio diplomatico che segna la svolta, un confine tra un “prima” e un “dopo”. Ma che, secondo molti, sarebbe anche all’origine di una storia nazionale di sovranità limitata, di misteri, di verità non rivelate, di poteri forti o occulti che hanno tramato contro lo Stato e nello Stato».
Inizia così «L’Italia dei misteri», primo capitolo della «Versione di K».
K è lui, Francesco Cossiga, che con civetteria rispolvera il K (Kossiga) degli insultanti graffiti con cui gli extraparlamentari di sinistra adornavano i muri delle città negli anni ’70, da lui vissuti, in parte, dietro la scrivania del Viminale. «La versione di K» è il titolo del nuovo libro di Cossiga scritto a quattro mani con il giornalista Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, edito da Eri-Rai e Rizzoli (210 pagine, 17 euro) con cui, l’ex presidente della Repubblica consegna il suo punto di vista sugli ultimi 60 anni di storia patria. Un racconto che prende le mosse da quella notte del 1947 - quella in cui De Gasperi partì per l’America per consegnare all’Amministrazione Truman, come atto di ubbidienza atlantica, la fine del suo governo, l’ultimo con dentro il Partito comunista di Palmiro Togliatti - e termina con lo scandalo delle escort dell’estate 2009.
Cossiga, sassarese, 82 anni in luglio, senatore a vita, ex ministro Dc, inquilino del Quirinale dal 1985 al 1992, ma soprattutto junghiano «briccone divino», ripercorre la vita pubblica italiana, fornendo di ogni passaggio cruciale una lettura spesso spiazzante, forte del fatto che, della storia della Repubblica - ricorda - «siamo rimasti solo due testimoni, io e Andreotti».
E la storia d’Italia, nella versione di K, è per larga parte una cronaca di misteri veri e presunti: dalla lista, mai trovata, degli spioni dell’Ovra fascista a quella di coloro da internare in caso di golpe al vero elenco degli iscritti alla loggia P2, dalle borse di Moro mai ritrovate dopo il rapimento alla borsa di Calvi esibita in televisione parzialmente svuotata. Per finire con i dubbi sull’origine della fortuna economica di Silvio Berlusconi.
Ma in mezzo, c’è il mistero dei misteri d’Italia: il rapimento, la prigionia e l’uccisione di Aldo Moro, il suo mentore poltico, nella primavrera del 1978, quando Cossiga era ministro dell’Interno. E’ tutto chiaro nel mistero per eccellenza della storia repubblicana? Cossiga propende per il sì. Ma leggendo queste pagine del libro non si può fare a meno di pensare allo scetticismo di John Milton, un poeta molto amato dall’anglofilo K, secondo il quale «essere ciechi non è una sventura: è una sventura essere incapaci di sopportare la cecità».
Sui presunti misteri di quei 55 giorni di tragedia collettiva che visse l’Italia Cossiga poco aggiunge di nuovo. Ricorda che, all’indomani del rapimento da parte delle Brigate Rosse, il 16 marzo 1978, egli consegnò due buste nelle mani di Luigi Zanda, suo consigliere politico e poi senatore. «In una busta», aggiunge, «c’erano le dimissioni nel caso Moro fosse uscito vivo dalla vicenda; nell’altra nel caso fosse stato ammazzato». Perché, spiega, «un ministro coinvolto in una simile vicenda non poteva rimanere al suo posto».
Cossiga non si pente di avare aderito alla linea della fermezza sostenuta da tutti, eccezion fatta per socialisti e radicali, e spiega: «La linea dell’intransigenza da parte del Pci era ormai rigorosissima; mentre il governo aveva deciso di permettere alla Dc di provare trattative che non fossero quelle ufficiali, tipo Croce Rossa o Amnesty International».
«Al secondo tentativo reso pubblico», aggiunge, «Enrico Berlinguer inviò nuovamente da me Ugo Pecchioli. Il quale non si perse in chiacchiere: “Se il governo continua a permettere alla Dc di insistere su questa strada delle trattative con organizzazioni che comunque presuppongono come interlocutore un soggetto militare riconosciuto, noi toglieremo l’appoggio al governo”».
L’ultimo mistero italiano sul quale K fornisce la sua versione si chiama Silvio Berlusconi. E’ davvero un mistero l’uomo di Arcore? «C’è chi pensa che anche Berlusconi sia un mistero italiano», scrive l’ex presidente della Repubblica. «La mia impressione è che costoro vogliano credere alle balle. Una balla, ad esempio, è la storia dell’origine incerta del suo patrimonio».
Tuttavia, il giudizio politico di K sul Cavaliere è tutt’altro che assolutorio: «Ma se il popolo vota per Berlusconi e Berlusconi si comporta come meglio crede, Berlusconi ha sempre ragione?», si chiede. «No, non è così. L’eletto del popolo non ha sempre ragione, tanto è vero che in democrazia è previsto il diritto alla rivolta contro un potere che attenti alla libertà».
Secondo Cossiga, la storia italiana è, comunque, quella di una «invincibile stabilità», nonostante i misteri che la costellano. Persiste, però, in queste pagine l’eco del rimpianto per una Prima repubblica immune dai rischi del populismo di destra e di sinistra. Un rimpianto - per l’«antico regime» italiano - simile a quello a cui dava voce Talleyrand (come lui un superstite) quando ammoniva così i suoi contemporanei: «Coloro che non hanno conosciuto l’Ancien régime non potranno mai sapere cos’era la dolcezza della vita».