Montesilvano. Pavone è morto, ora l'amante della moglie dovrà rispondere di omicidio

17 Novembre 2014

L’ingegnere colpito alla testa da una fucilata nell'ottobre 2013 a Montesilvano, mentre gettava la spazzatura sotto casa, non ce l’ha fatta. Il dipendente delle Poste, che è in carcere da maggio, ora rischia l’ergastolo.

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PESCARA. «Mio fratello Carlo è stato una roccia ma, adesso, questa tragedia che ha colpito la mia famiglia deve trovare giustizia». Alle 12.45 Adele Pavone, la sorella dell’ingegnere in coma da oltre un anno, ha ricevuto la telefonata dall’ospedale: «Carlo Pavone è morto», le hanno detto all’altro capo del telefono, epilogo di una tragedia iniziata il 30 ottobre 2013 quando l’ingegnere Carlo Pavone, dalla vita comune, papà di due figli piccoli e marito di Raffaella D’Este, viene raggiunto da un colpo di arma calibro 9 alla testa ed entra in coma. In ospedale si precipitano i familiari e la moglie dell’ingegnere di Montesilvano mentre la notizia della morte di Pavone arriva fino al carcere dov’è rinchiuso Vincenzo Gagliardi, il dipendente delle Poste accusato del tentato omicidio in via De Gasperi a Montesilvano. La morte di Pavone sconvolge una famiglia ma, adesso, scompagina anche il quadro accusatorio: fino a ieri Gagliardi, il dipendente delle Poste di via Volta, era accusato di tentato omicidio ma con la morte dell’ingegnere la sua posizione si aggrava perché il capo d’imputazione diventerà di omicidio premeditato volontario. Un reato che, in caso di condanna, è punito con l’ergastolo. Con una confessione Gagliardi, l’uomo che da sei mesi urla la sua innocenza, potrebbe alleggerire la sua posizione per un reato che, una volta riformulato, sarà giudicato in Corte d’Assise.

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In coma dalla notte dell’ottobre 2013. Carlo Pavone se n’è andato dopo oltre un anno passato in coma vegetativo nel reparto di Rianimazione di Pescara, poi in una clinica marchigiana e quindi ancora nel reparto di Rianimazione dove il 23 ottobre aveva compiuto 43 anni. Un uomo con un quadro clinico gravissimo, la cui vita serena è cambiata la notte del 30 ottobre 2013 quando l’ingegnere viene trovato accasciato davanti la sua casa in via De Gasperi vicino al cassonetto dell’immondizia. Sembrava un malore ma, una volta in ospedale, i medici scoprono che nella testa dell’ingegnere c’è un proiettile. La famiglia, originaria del Venezuela, non sa spiegare perché un uomo senza ombre, dalla vita placida divisa tra la famiglia e il suo lavoro di ingegnere informatico, viene raggiunto da un colpo di arma da fuoco. I carabinieri di Pescara spulciano dappertutto: sequestrano i computer e i fucili, passano al setaccio i conti della famiglia, si pensa anche a un regolamento di conti e a un possibile collegamento con il Venezuela fin quando, dopo 7 mesi, spunta il nome di Vincenzo Gagliardi.

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Il processo andrà in Assise, Gagliardi rischia l’ergastolo. Il 28 maggio i carabinieri di Pescara arrestano Gagliardi sul posto di lavoro portandolo nel carcere da dove non è mai uscito. Nell’ordinanza il gip trova la chiave: «Il movente è di natura passionale» scrive perché, come confermato poi dall’arrestato, Gagliardi aveva una relazione con la moglie di Pavone, D’Este (estranea all’inchiesta). Eppure Gagliardi, in questi mesi di carcere, non ha mai ceduto, non ha mai ammesso nulla, dichiarandosi sempre innocente e ammettendo solo una relazione con D’Este. Adesso, per l’uomo di 49 anni, originario di Chieti, il quadro accusatorio cambia. Il pm aveva già chiesto e ottenuto per lui il giudizio immediato e l’udienza era stata fissata il 17 febbraio 2015. In quell’occasione il capo di imputazione dovrà essere riformulato in omicidio premeditato volontario, un reato da Corte d’Assise.

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