Morosini, parla il perito della famiglia"Con defibrilllatore qualche chance"

Secondo il perito di parte,  Cristina Basso, sarebbe molto probabile una malattia genetica strutturale "anche non ereditaria" che spesso è la causa di morte degli under 35, specialmente in campo sportivo

PESCARA. «Che il problema sia cardiaco non ci sono dubbi, Morosini ha avuto un problema di aritmie e i cardiologi insegnano che il defibrillatore va utilizzato subito: il ragazzo avrebbe avuto qualche chance in più di salvarsi». La dottoressa Cristina Basso, il perito nominato dalla famiglia del centrocampista del Livorno morto a Pescara sabato scorso va dritta al punto: i medici che durante la partita di sabato hanno soccorso il calciatore di 25 anni dovevano usare il defibrillatore: «Il malore di Morosini ha la dinamica classica di una fibrillazione. Impossibile pensare a un problema cerebrale».

Non a caso, il quesito finale a cui deve rispondere il medico legale è proprio sull’uso del defibrillatore: Cristian D’Ovidio dovrà dire se l’uso del defibrillatore avrebbe potuto contribuire a salvare Morosini. È in questa chiave che diventa decisivo, ai fini di eventuali responsabilità (il reato ipotizzato dal pm Valentina D’Agostino è di omicidio colposo), dare un riscontro a quanto dichiarato alla Digos dall’infermiere della Misericordia Marco Di Francesco: «Morosini qualche minuto prima che venisse caricato in ambulanza era vivo; per due volte ho ricordato ai soccorritori in campo che c’era il defibrillatore pronto ». Per questo martedì la Digos di Laila Di Giulio ha acquisito in ospedale i due apparecchi salvavita che sono stati nella disponibilità dei soccorritori, in campo e sull’ambulanza del 118.

PERIZIA SUI DEFIBRILLATORI. Apparecchi che già entro oggi dovrebbero essere restituiti al 118, dopo che il tecnico incaricato ne ha accertato, come richiesto, efficienza e funzionamento. Vale a dire se sono integri, se sono stati accesi, se hanno fatto un tracciato e, anche, se hanno registrato l’audio di quei momenti. Una circostanza, questa, che aiuterebbe molto gli investigatori anche se, a mente fredda, l’infermiere ritiene che l’apparecchio fosse stato portato aperto, ma era comunque spento: quando è acceso, il defibrillatore semiautomatico, il dae come l’ha chiamato lui in campo, parla, dà indicazioni che non ricorda di aver sentito.

UN MINUTO E 49 SECONDI. Di certo, però, Di Francesco ha aiutato gli investigatori a ricostruire i tempi dell’arrivo del defibrillatore al capezzale di Morosini: sicuramente prima dell’ingresso in campo dell’ambulanza del 118 e prima di quello della barella che, dal filmato live di Sky, appare vicino al giocatore a terra già al 31’30’’, un minuto e 49 secondi dopo il malore del calciatore al quale, sempre dal filmato, 19 secondi prima i paramedici hanno già infilato la cannula per la ventilazione. Ma il defibrillatore, a differenza di quanto prevede la procedura, non viene applicato.

IL MEDICO E IL VIGILE. È su questo, e sui tempi dei soccorsi, che puntano gli interrogatori della Digos. Dopo il direttore dell’unità coronarica Paloscia, il medico del 118 Molfese, quello del Pescara Sabatini con il massaggiatore della squadra D’Arcangelo, e dopo naturalmente Marco Di Francesco, ieri è toccato al volontario della Croce Rossa che ha portato materialmente il defibrillatore ai soccorritori, e all’infermiere alla guida dell’ambulanza del 118 che ha trasportato il calciatore in ospedale. Ma è quella prevista per oggi, a questo punto, la testimonianza che tutti aspettano: quella del medico del Livorno Manlio Porcellini che, in qualità di leader, ha diretto i primi soccorsi quando il defibrillatore non è stato usato. Quasi certamente, il dottore che si è precipitato da Morosini dopo che il giocatore si è accasciato a faccia in giù, e che per questo, come prevedono le linee guida, è diventato il leader dell’intervento, sarà interrogato su delega direttamente dalla Digos di Livorno insieme con Gianni Scappini, il massaggiatore della squadra amaranto che è salito in ambulanza con Paloscia e Molfese, e Giacomo Bolognesi, l’altro massaggiatore che ha partecipato ai soccorsi sul campo dell’Adriatico. Con la loro versione dei fatti, insieme con quella del vigile urbano che con l’auto di servizio ha bloccato l’accesso al campo di due ambulanze, si chiuderà il cerchio delle testimonianze.

FILMATI E SCATOLA NERA. Una decina di testimonianze in tutto che gli investigatori stanno mettendo insieme per ricostruire che cosa è successo in campo in quei sei minuti e mezzo di delirio. Decisivi, per ricostrure i fatti attraverso le azioni individuali e attraverso quello che ciascuno dei presenti in campo ha visto fare intorno a sè, sono i filmati acquisiti sin dall’inizio dalla Digos, oltre a tutta la documentazione degli esami fatti in pronto soccorso a Morosini (dall’elettrocardiogramma al defibrillatore) e alla «scatola nera» dell’ambulanza, per verificarne i tempi di percorso impiegati dallo stadio all’ospedale.

PERCHE’ E’ MORTO? Eventuali responsabilità a parte, resta da chiarire l’origine del malore costato la morte a un calciatore professionista di 25 anni. L’ipotesi su cui sta lavorando il medico legale incaricato dalla Procura è quella della malattia genetica. «Si tratta di capire», spiega il perito della famiglia Cristina Basso, «che tipo di malattia. Sappiamo che il papà del giocatore è morto giovane, sarebbe stato importante all’epoca chiarirne le cause in modo da consentire una diagnosi giovanile precoce sul figlio. Purtroppo però», va avanti la specialista di Cardiologia vascolare che da anni si occupa per la Regione Veneto delle morti improvvise sotto i 35 anni, «con 600 casi in Veneto abbiamo dimostrato che durante lo sport si muore di cuore. Perché con lo screening è crollata la mortalità degli sportivi, ma è anche vero che tante malattie causa di arresto cardiaco sono subdole, scappano, e allora è importante che ci sia il defibrillatore in campo. Va usato in ogni caso, perché se non serve, se non c’è fibrillazione, l’apparecchio non dà la scarica elettrica».
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