Nonna Antonia, la dottoressa che salvò la vita dei bambini ebrei

24 Aprile 2022

Il nipote Francesco racconta: «Falsificò i documenti di deportazione e fece arrivare i piccoli in città» Paladino fu medico e sindaco di Scilla, poi nel corso del 1963 anche lei decise di trasferirsi a Pescara

PESCARA. Era pescarese Antonia Assunta Paladino, la donna che salvò la vita di molti ebrei falsificando i loro documenti della deportazione. Grazie al salvacondotto contraffatto che donna Assunta riuscì a procurarsi con l’aiuto dello zio, Ernesto Drommi, colonnello del Regio Esercito, tanti bambini, tra il 1943 e il 1945, trovarono rifugio a Pescara con le famiglie e riuscirono a sfuggire ai campi di sterminio nazisti. Venti anni dopo, nel 1963, questa eroina della Seconda guerra mondiale, che è stata medico e sindaco (nel 1952 a 32 anni) nella sua terra natìa, Scilla di Reggio Calabria, messa sotto pressione dalle minacce della criminalità che aveva combattuto e sfidato costruendo case popolari per gli sfollati del conflitto bellico, decise di trasferirsi a Pescara con l’amore della sua vita, Ermete Brancacci (scomparso 18 anni fa) e le figlie Eugenia e Maria Vittoria. In questa città, prima nell’abitazione di via Regina Elena e poi in via Campania, restò tutta la vita, fino al 2008, quando morì all’età di 87 anni. La sua salma riposa nel cimitero dei Colli.
È una storia di coraggio e d’amore quella che riemerge dal passato, alla vigilia del 25 aprile. La racconta il nipote, Francesco Brancacci, 36 anni, pescarese, imprenditore nel settore dei media hi-tech, che con la nonna materna ebbe un rapporto di intenso affetto. A lui tramandò le sue memorie: «I ricordi terribili dei tanti morti e degli orrori che aveva vissuto e che confidava a fatica». Francesco ascoltava e prendeva appunti. Negli anni ha ricostruito gli atti eroici di questa nonna speciale, seconda laurea nel 1952 all’università di Friburgo, in Psicologia clinica, ha accumulato pile di documenti, fascicoli, testimonianze e rintracciato persino le copie di quelle carte d’identità false che avevano cambiato il destino di decine di persone, tra cui quello dell’amica e poetessa, Lea Luzzati Segre e delle sue bambine, Alma e Mara.
Nata a Scilla il 1° febbraio 1920 da Rocco Paladino, commerciante navale, e Adelaide Drommi, casalinga: «Nonna Antonia coltivò una grande passione per la musica e la poesia cresciuta attraverso il rapporto di amicizia con il pittore Giuseppe Marino». Si diplomò al liceo classico Tommaso Campanella di Reggio Calabria che con Messina fu distrutta nel terremoto del 1908 costringendo le popolazioni ad emigrare negli Stati Uniti. «Esposta a tutta quella disperazione mia nonna decise di diventare medico, emigrò a Torino e si laureò in Medicina nel 1943». Durante il corso «fu bullizzata da un gruppo di studenti che una mattina la costrinsero ad estrarre il cervello dal cranio di un cadavere senza danneggiarlo e tenerlo in mano senza vomitare». Superò la prova, ma l’accaduto «intensificò la sua insofferenza verso la cultura maschilista promossa dal fascismo». Venuta a conoscenza delle deportazioni, decise di aiutare gli ebrei destinati a morte certa. Con l’aiuto dello zio, riuscì a procurarsi le carte d’identità da falsificare con timbri, firme e foto. In ogni documento «segnalava Pescara come città di provenienza di queste persone, perché era una città giovane e difficilmente i tedeschi riconoscevano l’accento o altri particolari che potessero esporre i possessori a collegamenti insidiosi». Fu con questo stratagemma che Antonia riuscì a salvare uomini, donne e bambini che riabbracciò quando scelse Pescara per la vita.