O SIGNORI O CAFONI SENZA PIU’ VIE DI MEZZO

Sarà capitato anche a voi, sulla Sette, di vedere una trasmissione televisiva che si chiama “La Gabbia”. In realtà per rendere più coerenti i contenuti con il titolo, basterebbe cambiare una consonante e trasformare quella “G” in una “R”. Già, perché l’energico conduttore, Gianluigi Paragone, è lì per aizzare la rabbia degli italiani, sia che si tratti degli operai dell’Electrolux sotto minaccia di licenziamento, sia che si tratti di negozianti sfiancati da Imu, Tares e balzelli vari. Non è un caso che questo circo Barnum degli inferociti (molti con più di una buona ragione) cominci ad avere un buon successo di ascolti: dopo sei anni di crisi profonda, nella pancia del Paese una rabbia cieca si sta sostituendo alla preoccupazione. E quando senti il terreno mancarti sotto i piedi, cerchi di afferrare un microfono delle tante Gabbie che girano sui nostri teleschermi, per sfogare almeno la tua angoscia.

Ma poi? Dopo le urla? Forse è vero, come va dicendo Enrico Letta, che la Crisi con la “C” maiuscola sta finendo. Ma solo per pochi privilegiati. E purtroppo ci lascia in eredità almeno due frutti avvelenati, che pensavamo maturassero solo in stagioni lontane: uno si chiama emigrazione, ovvero l’esodo dei nostri giovani migliori verso Paesi in grado di offrire il lavoro che qui è scomparso; l’altro si chiama disuguaglianza, ovvero il fossato che si allarga ogni giorno di più tra il reddito di chi sta bene e quello di chi arranca. La Banca d’Italia avverte che c’è un 10% di fortunati che possiede quasi la metà di tutta la ricchezza in circolazione, mentre le famiglie più povere non solo guadagnano sempre meno, ma spesso possiedono case in periferia il cui valore si erode senza pietà. Gli stessi negozianti, che fino a poco tempo fa erano una categoria invidiata da tutti, spesso si aggiungono ai nuovi poveri, specialmente se hanno acquistato a debito licenze che nel giro di pochi anni hanno azzerato il loro valore.

L’Abruzzo è colpito in pieno da entrambi i fenomeni: i ragazzi se ne vanno, lasciando una terra in cui le disparità ricordano un passato in cui o si era cafoni o si era signori, senza comode vie di mezzo. Nelle stesse aziende non ci sono mezze misure: ci sono quelle che vanno a mille perché esportano in Paesi più fortunati, ed altre che procedono a scartamento ridotto perché la loro clientela è tutta qui in Italia, dove persiste il terrore di spendere. Emigrazione e disuguaglianza non sono solo un problema economico: un tessuto sociale sano come quello abruzzese viene messo a dura prova quando migliaia di famiglie non possono più permettersi di offrire ai figli una vita decorosa quale quella dei coetanei più fortunati. Di questo si deve occupare la politica, se vuole dare un senso alla lunga campagna elettorale appena partita. E se vuole evitare di farsi travolgere dalla rabbia che sta montando tutt’intorno a noi. Buona domenica.

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