ODISSEA DI UN NUOVO WOP

12 Agosto 2013

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Ero sicuro di averla vista, quella volta con mio padre.

Non ero mai salito in soffitta prima, ma ero proprio sicuro di averla vista lì, tra uno scatolone impregnato di polvere e un telo di velluto pesante, dietro la colonna. Quasi nascosta, la vecchia statua di una madonnina dall'aria affranta col capo chino sulla spalla destra, immacolata tranne che per una macchia rossastra sul petto, emergeva candida. Il drappeggio del suo vestito era perfetto, questo lo ricordavo chiaramente, anche se ormai accoglieva in grembo, in tutti i grembi di ogni lembo in realtà, almeno un dito di polvere, che si gonfiava nelle mani raccolte.

Non so dire cosa mi colpì particolarmente del suo aspetto, forse mi fece tenerezza, o m'ispirò una tristezza solidale. L'unica cosa di cui sono sicuro è che tornai a trovarla.

Notai che era circondata da oggetti che sembravano metterla a suo agio in quell'ambiente di cianfrusaglie dimenticate, diverse cornici vuote le pendevano dal collo e moltissime lampade, anche se non tutte erano rivolte a lei e nessuna era accesa.

Ma il colmo di una sottile ironia, che mi risultava appena comprensibile e che però percepivo, rimaneva quel cappellone di paglia consumato in cima alla sua santa e polverosa testa, dove forse avrebbe dovuto trovarsi un'aureola.

Certo anche mio padre doveva averla vista, ma non mia madre, che non saliva mai in soffitta. E non dovevano averla vista neanche Kamal, che per fingersi adulto nascondeva ogni senso dell'esplorazione, e Zahra, che appena gattonava e per di più era una femmina. Mio padre l'aveva vista eppure non l'aveva guardata, e in definitiva era come se esistesse solo per me: la madonnina impolverata, macchiata, e con gli occhi bassi sotto il cappellone di paglia era il segreto esclusivo di un bambino musulmano in una soffitta del centro Italia!

Non appena rimanevo da solo strisciavo su in soffitta fino a trovarmi di nuovo perso di fronte a quella figura così criptica e triste, dimenticata là chissà quando.

Mi fermavo a fissarla, e ogni tanto ci parlavo, unendo le mani e abbassando la testa, per gioco.

Un giorno tornai a casa arrabbiato, avevo preso il voto più alto della classe in italiano, e sapevo che per questo il giorno dopo Davide e i suoi compagni me le avrebbero sicuramente date a ricreazione, e io le avrei prese, e gli avrei detto che quel voto non lo meritavo.

Ero arrabbiato, e glielo avevo confessato.

Le avevo detto che a scuola mi prendevano in giro perché ero avevo la pelle più scura, e i capelli più ricci, e perché mia madre non parlava bene l'italiano. L'avevano vista tutti il primo giorno di scuola, avevano visto che era diversa da tutte le altre mamme, con quello stupido velo e con Zahra legata in grembo, che aveva anche deciso di piangere, come se non bastassero tutti gli occhi che ci scivolavano addosso e cadevano a terra, fingendo di non guardarci. E io mi vergognavo, mi vergognavo da impazzire. Le sembrava giusto questo?

Lei nemmeno alzava lo sguardo, quasi che si vergognasse delle mie parole.

Guardava in basso e sembrava che dicesse:

-Chiedi alla polvere, chiedi alla polvere...

E io la guardavo quella polvere, che non avevo mai avuto il coraggio di togliere, nemmeno di toccare, figuriamoci di toglierla, quella polvere, quella polvere, quasi che standole addosso la rivestisse di una sacralità antica, e non la facesse sentire nuda, non la facesse sentire diversa.

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